L’istituto dell’adozione conduce ad una genitorialità sociale e legale in assenza del legame di sangue.
Tuttavia, l’adozione non è funzionale, se non indirettamente, al soddisfacimento del desiderio di genitorialità degli adottanti, poiché la ratio primaria dell’istituto è quella di garantire il preminente interesse del minore ad avere una famiglia, come si evince immediatamente dalla rubrica della legge che disciplina l’adozione (L. 4 maggio 1983, n. 184), “Diritto del minore ad una famiglia”.
Il nostro ordinamento prevede due forme di adozione del minore:
– L’ adozione piena o legittimante, possibile al ricorrere di stringenti requisiti soggettivi e oggettivi, mediante la quale il minore diventa a tutti gli effetti figlio dei genitori adottivi e recide i legami con la famiglia d’origine;
– L’ adozione in casi particolari o non legittimante, possibile quando non ricorrano le condizioni richieste per l’adozione piena e a seguito della quale l’adottato, salvo alcune eccezioni, conserva il proprio cognome e mantiene alcuni obblighi verso la famiglia d’origine.
Se l’adozione piena è possibile unicamente quando il minore si trovi in uno stato di abbandono, l’adozione non legittimante è consentita anche nel caso in cui il minore abbia un genitore che provveda alle sue esigenze di vita ed educazione.
È questo il caso previsto dall’art. 44, co. 1, lett. b) della L. 184/1983, che consente l’adozione da parte del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge.
In relazione a quest’ultima ipotesi, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10989 del 5 aprile 2022, si è pronunciata sul ricorso, presentato dal coniuge della madre di una minore, avverso la decisione della Corte d’appello di Bologna che aveva negato la richiesta di adozione ai sensi della norma sopracitata.
La Corte di appello, confermando la sentenza di rigetto del Tribunale, aveva ritenuto che il persistere dei rapporti tra la minore e il padre biologico, il quale si trovava impossibilitato a far fronte al mantenimento della figlia per ragioni afferenti alla sfera economica, costituisse elemento ostativo all’accoglimento della domanda di adozione. Riteneva inoltre che non sussistesse un interesse concreto della minore all’adozione poiché, sulla base dell’esame delle relazioni del Servizio sociale, emergeva che la minore vivesse la situazione familiare con grande serenità, essendo molto legata sia al padre che al marito della madre.
La Corte di Cassazione ha però respinto queste argomentazioni evidenziando come la Corte territoriale non avesse correttamente interpretato la normativa alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno richiamato la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ art. 55 della legge sull’adozione, nella parte in cui prevedeva che l’adozione in casi particolari non determinasse l’instaurazione di alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante. Per la Consulta, la normativa censurata “lede il minore nell’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare del genitore adottivo e, dunque, dall’appartenenza a quella nuova rete di relazioni, che di fatto vanno a costruire stabilmente la sua identità e che costituiscono fonte di tutela personale e patrimoniale che il legislatore della riforma della filiazione ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni” (Corte cost., 28/03/2022, n. 79).
Applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte ha osservato come l’adozione da parte del ricorrente sia funzionale al soddisfacimento del preminente interesse del minore “anche attraverso la creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, e dunque sulla base della coesistenza dei legami sia con la famiglia di quest’ultimo sia con quelli della famiglia del padre biologico”.
La continuità relazionale con il genitore biologico non osta quindi all’accoglimento della domanda di adozione, potendo legittimamente instaurarsi in capo al minore un rapporto giuridico con due diversi gruppi parentali. Ragionando altrimenti si lederebbe la stessa identità personale del minore, connotata, di fatto, dall’appartenenza a due distinti nuclei familiari.
I giudici di legittimità hanno altresì dato rilievo alla circostanza che il padre biologico avesse dato il proprio consenso all’adozione, il quale quindi si era mostrato consapevole della necessità di garantire alla figlia un contesto familiare più adeguato per lo sviluppo della sua personalità. Per queste ragioni, la Corte ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente e cassato la sentenza con rinvio della causa alla Corte d’appello, in diversa composizione.
Foto di Pixabay