Il sistema di tutela del lavoratore che abbia subito un licenziamento illegittimo è stato, da ultimo, riformato con il D.Lgs. n. 23/2015, il quale ha ampliato i casi di applicazione della tutela indennitaria – consistente nella corresponsione di una somma di danaro al lavoratore licenziato – e limitato a casi specifici la tutela reintegratoria – comportante il reinserimento del dipendente nel posto di lavoro. Quest’ultima forma di tutela si applica in presenza di circostanze particolarmente gravi: licenziamento discriminatorio, licenziamento nullo per motivi espressamente previsti dalla legge, licenziamento intimato oralmente, insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore e licenziamento motivato dalla disabilità fisica o psichica del lavoratore.
La tutela indennitaria si applica in tutti gli altri casi in cui il licenziamento manchi di un giustificato motivo o di giusta causa, nonché ai casi in cui il licenziamento non presenti una motivazione o presenti vizi formali o procedurali.
Queste forme di tutela si attivano qualora il licenziamento presenti, comunque, un vizio; infatti, in generale, l’art. 1 della Legge n. 604/1966 dispone che il lavoratore può essere licenziato solo per giusta causa o per giustificato motivo.
Tale disposizione non si applica, però, al lavoratore in prova: il datore di lavoro, durante il periodo di prova, può recedere liberamente dal contratto; l’esistenza del patto di prova importa, dunque, che il datore di lavoro non debba addurre una giusta causa o un giustificato motivo nel recedere dal contratto.
Qualora il patto di prova venisse meno, ossia fosse da considerarsi nullo in ragione di un qualche vizio, il lavoratore verrebbe considerato, sin dall’inizio del rapporto di lavoro, come assunto definitivamente; a quel punto, egli potrà essere licenziato solo in presenza di giusta causa o giustificato motivo.
Naturalmente, in caso di nullità del patto di prova, la giusta causa o il giustificato motivo non potranno consistere nel mancato superamento del periodo di prova. È quanto accaduto in un caso recentemente sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione: il datore di lavoro aveva licenziato una sua dipendente per mancato superamento del periodo di prova; sennonché, il patto di prova era nullo in quanto non specificava le mansioni a cui sarebbe stata adibita la lavoratrice.
Data l’illegittimità del licenziamento, era necessario individuare il tipo di tutela applicabile alla lavoratrice. Secondo l’opinione di quest’ultima, il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, in assenza di un valido patto di prova, è da considerarsi nullo; per cui, il giudice avrebbe dovuto applicare la tutela reintegratoria.
La Cassazione giunge a una diversa conclusione. La Corte rileva, anzitutto, che la fattispecie della nullità del patto di prova non è espressamente disciplinata dal D.Lgs. 23/2015; tuttavia, considerando l’impianto complessivo dello stesso decreto, si evince come la forma di tutela comune a tutti i licenziamenti è costituita dalla tutela indennitaria, mentre quella reintegratoria è limitata a specifici e limitati casi. Dato che il licenziamento per mancato superamento della prova, in assenza di un valido patto di prova, non è riconducibile ad alcuna ipotesi comportante l’applicazione della tutela reintegratoria, non resta che applicare la tutela comune, ossia quella indennitaria.
In questo modo – afferma la Corte – si garantisce che la sanzione per il datore di lavoro venga graduata a seconda della gravità del vizio del licenziamento: il D.Lgs. 23/2015, infatti, esclude l’applicazione della tutela reintegratoria per vizi più gravi rispetto alla nullità del patto di prova.
Pertanto, la Cassazione rigetta il ricorso, confermando l’applicazione della tutela indennitaria a favore della lavoratrice e offrendo supporto, al contempo, a un impianto legislativo che intende promuovere la tutela indennitaria a discapito della reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.
Foto di Andrea Piacquadio