La Costituzione impone allo Stato di farsi carico, nei limiti del possibile, di situazioni particolarmente difficoltose dal punto di vista sociale ed economico. Tra queste vi è la condizione di disoccupazione, ammortizzata da specifici sussidi detti indennità di disoccupazione, che includono l’indennità di mobilità, la NASpI, la DIS-COLL e l’Indennità speciale di disoccupazione per il settore edile.
L’indennità di disoccupazione viene corrisposta nel momento in cui il lavoratore perde involontariamente il proprio posto di lavoro, e ha lo scopo di garantirgli mezzi di sussistenza fino a quando non sia riuscito a ricollocarsi sul mercato del lavoro. Ma quando, di preciso, un lavoratore può dirsi disoccupato? È sufficiente che non percepisca la retribuzione o è necessario che un rapporto di lavoro non esista neanche formalmente?
La questione si è posta, da ultimo, nel caso giudicato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 25399 del 23/09/2024, avente ad oggetto, in particolare, l’indennità di mobilità.
L’indennità di mobilità era un sussidio dedicato ai lavoratori coinvolti in un licenziamento collettivo, prima che venisse abrogato nel 2012: infatti, i lavoratori coinvolti in un licenziamento collettivo possono ad oggi usufruire solo della NASpI.
Il caso oggetto dell’ordinanza della Cassazione riguarda alcuni lavoratori precedentemente impiegati presso la società Foodinvest S.r.l., poi dichiarata fallita. I lavoratori furono licenziati e, dunque, beneficiarono dell’indennità di mobilità. Tuttavia, l’INPS aveva richiesto la restituzione dell’indennità di mobilità percepita dai lavoratori successivamente al fallimento di Foodinvest, in quanto una sentenza della Corte d’Appello di Ancona aveva riconosciuto che i lavoratori, in realtà, non erano disoccupati, ma erano impegnati in un rapporto di lavoro con altra società, Ortofrost S.r.l., che aveva preso in gestione lo stabilimento di Foodinvest.
Questione fondamentale è che i lavoratori non avevano mai potuto riprendere effettivamente servizio presso Ortofrost, poiché anche questa società era fallita dopo breve tempo; dunque, i lavoratori, nonostante fossero formalmente impiegati in Ortofrost, non avevano mai svolto mansioni per questa società né avevano mai percepito la retribuzione.
Il nodo centrale del caso è, dunque, stabilire se un lavoratore debba essere considerato disoccupato – con diritto all’indennità di disoccupazione – nel caso in cui sia dipendente di un’azienda solo da un punto di vista formale, senza lavorare né percepire la retribuzione.
Sulla questione vi sono opinioni contrastanti.
Una parte della giurisprudenza sostiene che, una volta accertato il ripristino del rapporto di lavoro, anche solo formale, l’indennità di disoccupazione deve essere restituita. Infatti, una volta che un giudice riconosce l’esistenza di un rapporto di lavoro, quest’ultimo viene ricostituito con effetto retroattivo: vale a dire che il rapporto di lavoro viene considerato esistente non a partire dalla data della sentenza, ma sin dall’inizio.
Un diverso orientamento giurisprudenziale afferma, invece, che lo stato di disoccupazione non termina fino a quando il lavoratore non torna effettivamente a percepire una retribuzione, anche se formalmente reintegrato nel suo posto di lavoro. Quest’orientamento tiene conto, dunque, della realtà pratica in cui il mancato pagamento della retribuzione lascia il lavoratore in una condizione analoga a quella della disoccupazione. Dunque, si rende necessario mantenere il diritto all’indennità in modo da attuare il disposto dell’articolo 38 della Costituzione, che impone di garantire e assicurare in concreto i sussidi contro la disoccupazione.
Alla luce di questi contrasti giurisprudenziali, la Corte di Cassazione ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite per un chiarimento definitivo. La pronuncia delle Sezioni Unite sarà cruciale per risolvere un dibattito che investe argomenti di massima importanza, quali la tutela delle condizioni economiche del lavoratore e la necessità di allocare correttamente i fondi pubblici.