Con l’ordinanza n. 9257 dell’8 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulle modalità con cui è possibile accertare la conformità di una copia prodotta in giudizio, quando essa sia oggetto di disconoscimento.
La vicenda prende avvio da una causa di lavoro in cui parte ricorrente aveva prodotto conversazioni via Skype ed e-mail a sostegno della propria tesi. Tali documenti erano stati disconosciuti dalla controparte, che ne contestava la conformità agli originali.
La Corte ricostruisce con precisione la distinzione tra due diverse forme di contestazione.
Da un lato vi è il “diniego di originale”, che attiene all’esistenza stessa del documento e ha come fine l’espulsione dello stesso dal processo perché ritenuto artificiosamente creato. In tal caso, la legge richiede la proposizione della querela di falso.
Dall’altro lato, vi è il disconoscimento di conformità, che riguarda esclusivamente la corrispondenza del contenuto della copia con l’originale: esso presuppone che l’originale esista e non incide sulla paternità del documento, ma solo sulla sua affidabilità rappresentativa.
Ed è proprio su questa seconda ipotesi che si sofferma la Corte, chiarendo che la conformità della copia all’originale può essere dimostrata anche tramite mezzi di prova diversi dall’esibizione dell’originale stesso, comprese le presunzioni. Si legge infatti nell’ordinanza: “l’accertamento della conformità all’originale della copia prodotta può essere effettuato anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”.
La Cassazione ricorda inoltre che il disconoscimento di una scrittura privata, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., deve essere specifico e tempestivo, e che una volta effettuato non comporta automaticamente l’inutilizzabilità della copia: spetta al giudice valutare se sussistano elementi probatori idonei a dimostrarne l’autenticità.
La Corte sottolinea anche che non è necessario proporre querela di falso per contestare il contenuto delle copie, se ciò che si mette in dubbio è la loro corrispondenza all’originale e non la genuinità del documento in sé. In tale quadro, la prova presuntiva acquista un valore significativo, soprattutto in ambiti dove la documentazione è in formato elettronico o digitale, come nel caso di scambi via e-mail o messaggistica.
L’ordinanza si inserisce in un contesto giurisprudenziale sempre più attento alla realtà della comunicazione informatica e ribadisce che le forme tradizionali di prova possono essere adattate, pur nel rispetto delle regole processuali, alla varietà dei mezzi di comunicazione oggi utilizzati nel contesto lavorativo.
La decisione ha il merito di tutelare l’equilibrio tra le esigenze di certezza probatoria e le caratteristiche concrete delle controversie in materia di lavoro, offrendo una lettura flessibile ma rigorosa dell’articolato sistema delle prove documentali.
L’approccio adottato dagli Ermellini conferma, ancora una volta, la volontà di armonizzare il principio del contraddittorio con le esigenze di effettività della tutela processuale, specie nei casi in cui il datore di lavoro o il lavoratore si trovino nella necessità di provare fatti complessi attraverso tracce digitali o corrispondenze informali, la cui forma non è sempre perfettamente formalizzata.
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