Condotta extra-lavorativa rilevante ai fini disciplinari

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15027 del 4 giugno 2025, torna a pronunciarsi su un tema molto attuale in ambito giuslavoristico: il rilievo disciplinare delle condotte extra-lavorative, in particolare quando esse avvengono in un contesto comunque connesso all’attività lavorativa.

La vicenda trae origine da un procedimento disciplinare avviato nei confronti di un dipendente bancario, al quale era stata irrogata una sanzione di sospensione di dieci giorni per comportamenti tenuti nei confronti di un collega durante una trasferta lavorativa a New York, nell’ambito di un Talent Program organizzato dal datore di lavoro.

Secondo quanto emerso nei precedenti gradi di giudizio, il lavoratore avrebbe posto in essere violenze psicologiche e fisiche ai danni del collega, durante la convivenza presso un residence, che durante il lockdown fungeva anche da sede lavorativa provvisoria.

Il Tribunale aveva inizialmente ritenuto illegittima la sanzione, ma la Corte d’Appello di Milano aveva invece ribaltato la decisione, ritenendo pienamente legittima la sospensione disciplinare irrogata dal datore.

In particolare, la Corte territoriale ha valorizzato la violazione dei principi di correttezza e integrità richiamati non solo dall’obbligazione generale di diligenza e fedeltà del lavoratore, ma anche dal Codice etico e dal Codice del Gruppo bancario. Infatti, tali codici vietano espressamente qualsiasi condotta che possa compromettere l’immagine della banca, anche se avvenuta al di fuori dell’orario di lavoro o dei locali aziendali.

Il dipendente ha quindi proposto ricorso per Cassazione. In particolare, ha contestato: la mancata considerazione delle proprie difese orali in appello; il fatto che la decisione fosse fondata unicamente sulle dichiarazioni della presunta persona offesa; l’illegittimità di sanzionare una condotta avvenuta fuori dal luogo e dall’orario di lavoro; l’utilizzo, ai fini disciplinari, di dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari interne all’azienda; infine, la violazione del principio del ne bis in idem per aver subito conseguenze ulteriori (mancato trasferimento a New York e riduzione del punteggio nel Talent Program) oltre alla sanzione disciplinare.

I giudici della Corte di Cassazione hanno rigettato integralmente il ricorso, confermando la correttezza della decisione della Corte d’Appello. Anzitutto, la Suprema Corte ha ribadito che il giudice di merito non è tenuto a confutare ogni singola difesa articolata dal ricorrente, purché indichi le ragioni del proprio convincimento, il quale può basarsi sulla valutazione complessiva del materiale probatorio raccolto. Quanto alla fondatezza delle dichiarazioni testimoniali, la Cassazione ha evidenziato che la Corte territoriale non ha affatto fondato la propria decisione sulla sola deposizione della persona offesa, ma su un insieme di elementi probatori acquisiti nel giudizio.

Quanto alla rilevanza disciplinare della condotta extra-lavorativa, la Corte ha sottolineato che, pur trattandosi di fatti avvenuti al di fuori dell’orario e dei locali di lavoro, essi si sono comunque svolti in un contesto legato al rapporto lavorativo, essendo i dipendenti entrambi in trasferta per conto del datore di lavoro e ospitati in una struttura che costituiva anche sede lavorativa temporanea durante l’emergenza pandemica.

Le condotte, pertanto, non solo violavano le norme di civile convivenza, ma si ponevano in contrasto con i codici comportamentali aziendali, tali da incidere negativamente sull’immagine e il clima interno all’azienda, compromettendo la fiducia datoriale.

Infine, la Cassazione ha escluso anche la violazione del principio del ne bis in idem, chiarendo che le ulteriori conseguenze gestionali – quali il mancato trasferimento e la riduzione del punteggio – non rappresentano sanzioni disciplinari ulteriori, ma legittime valutazioni organizzative e di merito sul profilo professionale del dipendente, connesse alla sua idoneità manageriale.

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