È illecito l’utilizzo del whistleblowing per scopi di natura personale

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1880 del 27 gennaio 2025, ha chiarito un aspetto fondamentale del whistleblowing, ribadendo che esso non può essere utilizzato per finalità personali o per avanzare rivendicazioni nei confronti dei propri superiori. La pronuncia contribuisce a delineare i confini tra la tutela del segnalante e gli abusi dell’istituto, confermando la necessità che le segnalazioni siano effettivamente volte alla denuncia di illeciti rilevanti per l’amministrazione e non a scopi ritorsivi o strumentali.

La vicenda giudiziaria trae origine dall’impugnazione, da parte di un dipendente pubblico, della sospensione disciplinare inflittagli a seguito di due esposti presentati alla Procura della Repubblica. Il lavoratore aveva denunciato presunte irregolarità nella gestione dell’ente, sostenendo di agire nell’interesse pubblico.

Tuttavia, secondo l’amministrazione, gli esposti non contenevano alcun fondamento e risultavano finalizzati esclusivamente a screditare la dirigenza, violando così i principi di correttezza e buona fede. La Corte d’Appello aveva confermato la sanzione disciplinare, escludendo che il dipendente potesse beneficiare delle tutele previste dalla normativa sul whistleblowing.

Nel suo pronunciamento, la Cassazione ha ribadito che il whistleblowing è uno strumento essenziale per la prevenzione e il contrasto degli illeciti nell’ambito delle amministrazioni pubbliche. La sua disciplina prevede che il lavoratore che segnala violazioni rilevanti non possa essere oggetto di ritorsioni da parte del datore di lavoro.

Tuttavia, affinché la tutela possa operare, è necessario che la segnalazione abbia ad oggetto condotte effettivamente illecite e non mere contestazioni personali o conflitti interni.

Nel caso in esame, la Corte ha evidenziato che il comportamento del dipendente non rispondeva ai criteri previsti dalla normativa sul whistleblowing. Gli esposti presentati non avevano ad oggetto veri e propri illeciti, ma piuttosto accuse generiche rivolte alla dirigenza dell’ente, prive di riscontri oggettivi e motivate da finalità estranee alla tutela dell’interesse pubblico. Di conseguenza, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, affermando che l’utilizzo distorto del whistleblowing non può giustificare la tutela prevista per i segnalanti di illeciti.

In tal senso, il pronunciamento fornisce un importante spunto di riflessione per le amministrazioni pubbliche e per i dipendenti, chiamati a distinguere tra un uso corretto del whistleblowing e un suo impiego strumentale a fini personali o conflittuali.

È stata in questo modo ribadita l’importanza dell’istituto come strumento di legalità e trasparenza, ponendo un argine agli abusi che potrebbero comprometterne la credibilità e l’efficacia.

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