Il lavoratore può utilizzare in giudizio la conversazione registrata

In un ambiente lavorativo sempre più complesso, la giurisprudenza italiana ha recentemente chiarito una questione fondamentale legata all’uso delle registrazioni segrete effettuate dai lavoratori.

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 24797 del 16/09/2024 stabilisce un principio di rilevanza per le relazioni lavorative: il lavoratore ha il diritto di utilizzare in giudizio le registrazioni delle conversazioni con il datore di lavoro o i superiori, purché finalizzate alla tutela dei propri diritti. Questo verdetto rappresenta una significativa svolta, poiché ridefinisce il bilanciamento tra la privacy e la necessità di proteggere il lavoratore.

Il caso in esame nasce dalla controversia tra un dipendente e il suo datore di lavoro, in cui il primo ha utilizzato una registrazione segreta di una conversazione con un superiore come prova in giudizio per dimostrare un comportamento illegittimo. Il dipendente sosteneva che tale conversazione fosse l’unica prova a sua disposizione per documentare una situazione di abuso e comportamento scorretto da parte del datore, in violazione dei diritti previsti dal contratto di lavoro e dalle normative vigenti.

Il datore di lavoro, contestando l’utilizzo della registrazione, ha fatto leva sul diritto alla privacy, sostenendo che la registrazione senza consenso costituiva una violazione delle sue libertà personali. La controversia è quindi arrivata sino alla Suprema Corte di Cassazione, che ha fornito un’interpretazione chiave sul tema.

I giudici della Corte di Cassazione, nel pronunciarsi, hanno stabilito che il lavoratore può legittimamente registrare una conversazione con il proprio datore o superiori, anche senza il consenso di questi ultimi, se la registrazione è finalizzata alla tutela di un diritto in sede giudiziale. La ratio di questa decisione si basa sul principio che, laddove esista un conflitto tra il diritto alla riservatezza e la necessità di tutelare un diritto sostanziale, come quello di ottenere giustizia in caso di abusi sul lavoro, prevale quest’ultimo.

La Corte ha fatto riferimento all’art. 24 della Costituzione italiana, che tutela il diritto alla difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Di conseguenza, una registrazione segreta non costituisce un illecito, purché sia limitata a scopi difensivi e la persona che registra sia parte attiva della conversazione.

Infatti, la Corte ha sottolineato alcuni limiti importanti:

  • proporzionalità: le registrazioni devono essere proporzionate alla tutela di un diritto; ad esempio, non è lecito registrare sistematicamente tutte le conversazioni con il datore di lavoro senza una ragione concreta;
  • scopo della registrazione: deve essere chiaro che la registrazione serve a tutelare un diritto del lavoratore, come la difesa in un processo. L’utilizzo di registrazioni per scopi diversi, come la diffamazione, rimane ovviamente vietato;
  • privacy delle parti: la registrazione di conversazioni tra altre persone, senza che il lavoratore sia presente, rimane illecita e non può essere utilizzata in giudizio, poiché viola il diritto alla privacy delle persone coinvolte.

L’ordinanza esaminata ha un impatto significativo sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Da un lato, i lavoratori possono sentirsi maggiormente tutelati nel caso in cui si trovino di fronte a comportamenti abusivi o a discriminazioni difficili da provare attraverso mezzi convenzionali: infatti, la possibilità di utilizzare una registrazione segreta offre uno strumento potente per difendere i propri diritti.

Dall’altro lato, i datori di lavoro devono essere consapevoli che il loro comportamento nei confronti dei dipendenti può essere monitorato e utilizzato in sede giudiziale, anche se la registrazione avviene a loro insaputa. Questo richiede una maggiore attenzione alla gestione delle relazioni lavorative e all’applicazione corretta delle normative, soprattutto in contesti conflittuali.