Illegittimo il licenziamento basato su offese contenute in un atto giudiziario

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Con la sentenza n. 19621 dell’11.07.2023, la Cassazione ha stabilito che non integra giusta causa di licenziamento la condotta del lavoratore che attribuisca al proprio datore, in uno scritto difensivo, atti o fatti, pur non rispondenti al vero, che riguardino in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia e ciò quand’anche in tale scritto siano riportate espressioni sconvenienti od offensive.

Nel caso di specie, il dipendente aveva impugnato il licenziamento irrogatogli per aver utilizzato frasi gravemente offensive ed espressioni di aspra critica nei confronti della società all’interno dell’atto giudiziario con cui aveva avanzato una domanda volta ad ottenere differenze retributive.
La Corte d’Appello, confermando quanto già statuito in primo grado dal Tribunale, ha accolto la predetta domanda, ritenendo la condotta addebitata non lesiva del vincolo fiduciario, poiché riconducibile ad un’aspra critica finalizzata all’esercizio del diritto di difesa in giudizio.

La Corte di Cassazione – in linea con quanto stabilito dalla Corte d’Appello – ha rilevato che il contenuto dell’atto difensivo del lavoratore non integri una giusta causa che possa legittimare il suo licenziamento, pur avendo utilizzato espressioni offensive o sconvenienti, in quanto si tratterebbe di un documento giudiziario riferibile all’esercizio del diritto di difesa ed oggetto dell’attività del difensore.

Secondo i giudici della Corte, l’unica condizione necessaria è che le offese rinvenibili negli atti difensivi del giudizio debbano riguardare l’oggetto del processo in modo immediato e diretto e debbano essere funzionali rispetto alle argomentazioni svolte a sostegno della tesi prospettata o all’accoglimento della domanda proposta.

Alla luce di questi presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando l’illegittimità del licenziamento da questa irrogato.

Foto di Angela Roma