Risarcimento per il lavoratore in caso di turni di reperibilità sproporzionati

La Corte di Cassazione ha emesso un’importante pronuncia a favore dei lavoratori, sancendo che il datore di lavoro è tenuto a risarcire i dipendenti quando impone eccessivi turni di reperibilità. L’ordinanza n. 21934 datata 21 luglio 2023 contiene delle implicazioni significative per i diritti dei lavoratori e la tutela del loro benessere psico-fisico, in quanto ha affermato che il superamento dei limiti di turni in misura normale non è in sé ragione di inadempimento datoriale, ma lo può diventare se, concretamente, si determini un’interferenza tale, rispetto alla vita privata del lavoratore, da far individuare un pregiudizio al diritto al riposo .

La vicenda ha visto come protagonista un autista di ambulanza impiegato presso il pronto soccorso dell’Ospedale, il quale si è trovato ad affrontare richieste irragionevoli riguardanti lo svolgimento di turni di pronta disponibilità notevolmente superiori a quello (pari a sei ore mensili) di regola previsto dalla contrattazione collettiva. Il lavoratore ha, quindi, chiesto il risarcimento del danno subito a causa dell’usura psico-fisica causata da questa attività.

La Corte d’Appello ha rigettato la domanda del lavoratore, sostenendo, da un lato, che il CCNL consentirebbe al datore di chiedere “prestazioni oltre il limite numerico” e, dall’altro, che la determinazione di un’indennità per turni eccedenti è di esclusiva competenza della contrattazione collettiva.

Quanto al danno da usura psicofisica, la Corte di merito ha sostenuto che questa fosse una “questione che non poteva prescindere da una specifica allegazione in ordine ai caratteri naturalistici della sua concreta manifestazione”.

La Corte di Cassazione, ribaltando la pronuncia di merito, ha accolto la domanda di risarcimento, riconoscendo che l’abuso dei turni di reperibilità ha condizionato il diritto del lavoratore al riposo e ha creato un’interferenza illecita nella sua vita personale.

I giudici della Corte di Cassazione hanno evidenziato che il riposo non rappresenta una mera pausa fisica dall’attività lavorativa, ma comprende altresì un distacco mentale dalla necessità di restare costantemente a disposizione del datore di lavoro. A tal riguardo, i giudici hanno rilevato che, laddove la contrattazione collettiva ammetta il superamento dei limiti temporali della prestazione da essa stessa fissati, è necessario valutare il concreto atteggiarsi della mancata fruizione piena dei riposi, per comprendere se il lavoratore abbia diritto o meno ad un risarcimento.

Nel caso di specie, l’impegno richiesto al lavoratore era così elevato da non consentirgli alcuna possibilità di godere liberamente del proprio tempo a una certa distanza dal luogo di lavoro. Questa interferenza illecita nella sfera personale del lavoratore è stata ritenuta una negazione dei suoi diritti, costituendo un danno alla sua personalità morale.

La Corte di Cassazione ha, inoltre, precisato che il lavoratore non era tenuto a fornire ulteriori prove specifiche riguardanti l’eccesso di impegno, poiché la stessa misura di disponibilità era di per sé sufficiente a dimostrare il danno subito.

La sentenza in questione richiama altresì leggi europee, internazionali e nazionali che vanno a tutelare i diritti dei lavoratori, compresa la direttiva 2003/88/CE dell’Unione Europea.

Alla luce di tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal lavoratore, riconoscendo il suo diritto a vedersi ristorato per i turni di reperibilità richiesti in maniera eccessiva e sproporzionata, e riaffermando l’importanza del riposo per i lavoratori, ritenendo gli eccessivi turni di reperibilità una interferenza ingiusta nella vita privata di tutti i dipendenti.