Illegittimo il licenziamento per superamento del comporto del lavoratore disabile

Il periodo di comporto, disciplinato nei vari contratti collettivi, è un lasso di tempo durante il quale il lavoratore soggetto a malattia o infortunio ha diritto alla conservazione del posto; trascorso tale periodo, l’azienda potrà comminare il licenziamento.

Scopo dell’istituto è evitare che la prolungata assenza del lavoratore incida sulla produzione aziendale. Tuttavia, affinché non si generi una disparità di trattamento, è necessario tenere in debita considerazione le condizioni peculiari in cui versa il lavoratore: la recente sentenza n. 9095 del 31/03/2023 della Corte di Cassazione ha, infatti, confermato la nullità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato a un lavoratore disabile.

Il lavoratore in questione, portatore di handicap con capacità lavorativa ridotta del 75%, era stato licenziato in quanto assentatosi per malattia per 375 giorni nell’arco di 1095 giorni. A detta sia della Corte d’Appello prima, che della Cassazione poi, il licenziamento aveva prodotto una discriminazione di natura indiretta: infatti, ai sensi del D.Lgs. 216/2003, si ha discriminazione indiretta nel momento in cui una norma, apparentemente neutra, nella sua applicazione pratica pone determinate persone – ad esempio, portatori di handicap, persone che professano una specifica religione o che hanno un determinato orientamento sessuale – in una situazione di svantaggio rispetto ai colleghi.

Lo stato di malattia è, infatti, strettamente collegato alla condizione di disabilità, in quanto può esserne sia causa che effetto: già la Corte di Giustizia dell’UE aveva affermato, con sentenza dell’11 aprile 2013, che per “handicap” può intendersi anche la malattia in grado di ostacolare la piena partecipazione del lavoratore alla vita professionale; mentre la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità include tra queste ultime coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali.

Dato, dunque, che la nozione di “handicap” può includere la malattia debilitante e duratura, il lavoratore disabile è più esposto al rischio di incorrere in una prolungata assenza dal lavoro e, conseguentemente, nel superamento del periodo di comporto. Perciò, applicare indiscriminatamente la disposizione sul superamento del periodo di comporto a lavoratori normodotati e disabili costituisce disparità di trattamento, in quanto questi ultimi, avendo caratteristiche peculiari, necessitano di un trattamento consono.

La Cassazione rigetta dunque il ricorso, confermando la sentenza di secondo grado con la quale era stata dichiarata la nullità del licenziamento ed era stata disposta la reintegrazione del lavoratore.

Foto di Polina Tankilevitch