Illegittimo il licenziamento per il lavoratore divenuto parzialmente inabile

Con ordinanza del 13 novembre 2023, n. 31471, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del licenziamento per inidoneità fisica del lavoratore divenuto disabile nel corso del rapporto di lavoro e ha confermato che in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, sussista l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE.

Nel caso esaminato, un lavoratore aveva impugnato il proprio licenziamento basato sull’inidoneità alla mansione, sostenendo di essere ancora idoneo con alcune limitazioni.

Il Giudice di primo grado annullava il licenziamento e ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore sostenendo come il datore di lavoro avrebbe dovuto dapprima proporre ricorso avverso il giudizio del medico competente e, successivamente, provare in giudizio l’impossibilità di attuare adattamenti organizzativi ragionevoli nel luogo di lavoro.

La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, la quale qualificava il recesso come discriminatorio per ragioni di handicap in ragione della normativa comunitaria e nazionale, dovendo il datore di lavoro cercare nella richiamata ipotesi soluzioni organizzative e ragionevoli accomodamenti idonei a consentire la prosecuzione delle attività lavorative del dipendente, ed evitare che la ridotta capacità produttiva dello stesso potesse rappresentare una discriminazione vietata rispetto ad altri lavoratori impiegati in mansioni identiche.

La Società ricorreva per Cassazione, che rigettava il ricorso e confermava la decisione dei Giudici d’Appello.

La Suprema Corte di Cassazione, dichiarando infondati i motivi di ricorso della Società, rilevava come nel nostro ordinamento sia esclusa la possibilità per il datore di lavoro di invocare l’applicabilità della normativa concernente l’impossibilità parziale della prestazione, qualora l’inidoneità del dipendente determini una mancanza di interesse del datore di lavoro alla prosecuzione del rapporto.

Infatti, la disciplina comunitaria e nazionale in tema di licenziamento del disabile deve ritenersi di natura speciale rispetto alle regole generali di cui al Codice civile.

Pertanto, la Corte confermando la decisione della Corte d’Appello ha ribadito come in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, il datore di lavoro è tenuto, “ai fini della legittimità del recesso, ad adottare, ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa”.

La società datrice di lavoro, in caso di inidoneità sopravvenuta del lavoratore, deve sempre provare in giudizio l’assoluta e totale impossibilità di residuo impiego del dipendente all’interno dell’impresa.

In caso contrario, vige nel nostro ordinamento un divieto di licenziamento del lavoratore disabile con conseguente declaratoria di nullità del recesso e l’applicazione della tutela reintegratoria piena.

In definitiva, prima la Corte d’Appello e in seguito la Corte di Cassazione hanno escluso che la ragione addotta per licenziare il dipendente potesse integrare un giustificato motivo oggettivo, ragionando in termini di tutela della disabilità.

Di conseguenza, la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dalla società, confermando l’illegittimità del licenziamento.

Foto di Ivan Samkov