Il part-time è una formula spesso utilizzata per conciliare tempi di vita e di lavoro. La finalità del part-time è resa evidente dalla circostanza per cui la legge impone al datore di lavoro di precisare in forma scritta la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale della stessa, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno; qualora ciò non accadesse, infatti, il lavoratore non avrebbe possibilità di organizzare la propria vita né di reperire una seconda occupazione.
Peraltro, il part-time, una volta concordato, acquisisce un carattere tendenzialmente stabile, in quanto la legge vieta al datore di lavoro di licenziare il lavoratore che si rifiuti di passare al full-time, salvo casi particolari.
Come corrispettivo della prestazione lavorativa più breve, il lavoratore percepisce una retribuzione inferiore; tuttavia, se il lavoratore svolge in concreto un full-time nonostante il contratto preveda un part-time, egli avrà diritto alla superiore retribuzione spettante in caso di lavoro a tempo pieno.
I contenziosi concernenti il part-time sono soggetti a un particolare regime della prova, sul quale si è soffermata la Corte di Cassazione con sentenza n. 7450 del 20/03/2024.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte vedeva un operaio agricolo sostenere di aver lavorato a tempo pieno quando la società, invece, affermava che egli aveva lavorato esclusivamente con formula part-time; infatti, il contratto in questione nulla disponeva con riferimento all’orario di lavoro. Il lavoratore, dunque, pretendeva il pagamento della differenza di retribuzione tra part-time e full-time.
La Corte di Cassazione ha affermato che, in assenza di clausola relativa all’orario, il contratto di lavoro si presume full-time. Infatti, l’art. 5 del decreto legislativo n. 81/2015 stabilisce che il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova.
Spetta, allora, al datore di lavoro provare di aver concordato un part-time, e dovrà provarlo producendo un documento scritto; in via eccezionale, è concesso al datore di lavoro provare il part-time per testimoni solo se ha perso incolpevolmente il documento.
L’art. 10 del decreto legislativo 81/2015 stabilisce espressamente, poi, che, in assenza di prova da parte del datore di lavoro, il giudice dichiara, su domanda del lavoratore, la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno, con conseguente condanna del datore di lavoro al versamento della retribuzione e dei contributi dovuti per il full-time.
Nel caso di specie, la società agricola aveva riferito che la prestazione non si era mai svolta per più di 65 ore mensili, senza però produrre alcunché a riprova di quanto affermato. Conseguentemente, la Cassazione respinge il ricorso della società, confermando la precedente sentenza della Corte d’Appello e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive e al versamento dei contributi previdenziali.
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