La separazione va addebitata al coniuge violento

La separazione giudiziale può essere chiesta da ciascuno dei due coniugi quando si verificano fatti, anche indipendenti dalla loro volontà, che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza o che rechino grave pregiudizio alla educazione della prole.

Al ricorrere di determinati presupposti e su richiesta di parte, il giudice può addebitare la separazione a uno o anche ad entrambi i coniugi. Tale pronuncia produce rilevanti conseguenze sul piano patrimoniale del coniuge cui è addebitata la separazione, egli:

–          perde il diritto al mantenimento, fermo restando quello agli alimenti nel caso in cui versi in stato di bisogno;

–          perde i diritti successori, salvo il diritto ad un assegno vitalizio nel caso in cui godesse degli alimenti prima dell’apertura della successione;

–          si espone alla richiesta di risarcimento da parte dell’altro coniuge per i danni subiti in conseguenza della violazione dei doveri matrimoniali (ipotesi di responsabilità endofamiliare).

Come già anticipato, per la pronuncia di separazione con addebito occorre che si verifichi una violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e previsti dall’art. 143 c.c., ossia una violazione dell’obbligo reciproco alla fedeltà, dell’obbligo di assistenza morale e materiale, dell’obbligo di collaborazione nell’interesse della famiglia o dell’obbligo di coabitazione. Accanto a tali obblighi, ai fini dell’addebito rilevano altresì le violazioni dei principi e dei diritti di rango costituzionale, quale il principio di pari dignità tra coniugi (art. 29 Cost.).

L’addebito è dichiarato dal giudice soltanto quando risulti provato il nesso di causalità tra la violazione dei suddetti doveri e l’intollerabilità della convivenza e/o il grave pregiudizio alla educazione della prole che ne consegue.

Con la recente ordinanza n. 27324 del 16 settembre 2022, la Corte di Cassazione si è espressa proprio in ordine agli elementi rilevanti per la pronuncia di addebito, nel corso di un giudizio di separazione promosso da una donna che era stata vittima di un episodio di violenza da parte del marito.

Il ricorso era stato presentato dalla donna avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, con la quale era stata disposta la separazione personale dei coniugi, ma era stata rigettata la richiesta di addebito nei confronti del marito, con conseguente compensazione integrale delle spese di lite.

La donna, con il secondo motivo di ricorso, riteneva che la Corte di Appello avesse omesso di considerare il fatto decisivo, costituito dalla sentenza con la quale il marito era stato condannato per il delitto di lesioni aggravate ai danni della moglie, quale determinante ai fini della dichiarazione di addebito

Sempre con tale motivo di ricorso, la ricorrente criticava la ricostruzione fattuale operata del giudice di secondo grado in merito ad una presunta riconciliazione avvenuta in seguito all’episodio di violenza, che avrebbe reciso il nesso causale tra lo stesso e la crisi coniugale.

La Cassazione ha accolto tale motivo di ricorso, rilevando come la decisione della Corte territoriale non fosse conforme ai principi di legittimità elaborati in materia.

In base a tali principi, cui la Corte ha voluto dare seguito con questa pronuncia, la violenza fisica costituisce una violazione talmente grave e inaccettabile dei doveri coniugali, in special modo del principio di pari dignità, da esonerare il giudice dal dovere di comparare con essa, nel pronunciare sull’addebito, la condotta tenuta dal coniuge vittima di violenza, restando altresì irrilevante la circostanza che la crisi coniugale fosse comunque già sorta in precedenza.

Allo stesso modo, la meracoabitazione successiva all’episodio di violenza non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra l’episodio censurato e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, posta alla base del ricorso per separazione giudiziale: i tentativi di superare la crisi coniugale, infatti, non possono essere infatti qualificati come riconciliazione “in assenza di elementi univoci e significativi del pieno e concreto ripristino della comunione di vita e di affetti”.

La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi enunciati, oltre che per la liquidazione delle spese di lite, posto che nell’ipotesi di separazione con addebito trova applicazione il principio di soccombenza.

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