Il lavoratore che aggredisce un collega è licenziabile, a prescindere da chi abbia dato inizio al diverbio fisico. La partecipazione attiva alla lite costituisce di per sé una condotta connotata da particolare gravità.
Questo il principio sancito dalla Corte d’Appello di Roma nella sentenza n. 3062/2021.
Nel caso in specie, un lavoratore impugnava il licenziamento irrogatogli per aver preso parte ad una lite sul luogo di lavoro.
Il Tribunale rigettava l’impugnazione e, per tale motivo, il lavoratore proponeva appello, chiedendo l’integrale accoglimento della propria domanda finalizzata alla pronuncia di illegittimità del licenziamento. Lamentava, in particolare, una erronea valutazione dell’esito dell’istruttoria, non avendo il Tribunale tenuto nella giusta considerazione il fatto che il suo comportamento fosse una mera difesa nei confronti di un’aggressione subita da un collega.
La Corte d’Appello ha respinto il ricorso sulla base delle seguenti osservazioni.
Con riferimento alla legittimità del licenziamento, la Corte ha ritenuto pacificamente provata la sussistenza di una violenta lite tra i due lavoratori, sulla base delle prove testimoniali raccolte. A tal riguardo, ha considerato priva di rilievo l’individuazione della persona da cui origini il diverbio, ritenendo invece rilevante che il dipendente abbia partecipato attivamente alla lite, avendo peraltro ripetutamente colpito il collega di lavoro.
Ad opinione della Corte, comportamenti simili sono connotati da particolare gravità e non consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro, costituendo dunque giusta causa per il licenziamento del dipendente. La valutazione circa la gravità della condotta e la proporzionalità della sanzione irrogata deve essere realizzata dal giudice sulla base di elementi concreti e coerenti rispetto a quanto prescritto dal contratto collettivo, oltre che in considerazione dei generali principi di coscienza sociale.
Ponendosi in linea di continuità con un orientamento giurisprudenziale ormai prevalente, la Corte ha osservato che, in materia disciplinare, “(…) non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, purché vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (…)”.
In proposito, la Corte ha richiamato una fattispecie assimilabile al caso oggetto di giudizio trattata da Cass. Sez. 6 – Lavoro, Ordinanza n. 28492 del 7/11/2018 con la quale è stato ritenuto legittimo il licenziamento irrogato al lavoratore resosi responsabile di aggressione fisica ai danni di un collega, pur non essendo tale condotta riconducibile al delitto di rissa, per il quale il CCNL di settore contemplava espressamente la sanzione espulsiva, avuto riguardo al particolare disvalore del fatto, denotato dalle modalità attuative, dall’entità delle lesioni e dal clamore suscitato dalla vicenda nell’ambiente di lavoro.
La Corte ha rigettato dunque l’appello, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.