Licenziamento nel settore bancario, l’importanza della fiducia

Il licenziamento rappresenta la forma più estrema di sanzione disciplinare che il datore di lavoro può adottare nei confronti di un dipendente. In caso di dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato, il licenziamento può avvenire per giusta causa, giustificato motivo soggettivo o giustificato motivo oggettivo.

In particolare, il licenziamento per giusta causa senza preavviso è previsto nei casi più gravi, ossia per sanzionare comportamenti del dipendente che rendano impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro. L’art. 2119 del codice civile, infatti, richiede che il datore di lavoro dimostri l’esistenza di un fatto talmente grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il lavoratore.

L’ordinanza n. 23318 del 29/08/2024 della Corte di Cassazione sancisce quali comportamenti possono costituire giusta causa di licenziamento, con particolare riferimento al personale di banca.

Il caso riguardava un direttore di filiale licenziato per una serie di condotte ritenute gravemente lesive del rapporto di fiducia, tra cui: l’assegnazione di una carta di credito a nome di una cliente senza il suo consenso; l’inserimento e l’annullamento di accrediti fittizi sui conti correnti di alcuni clienti; il prelievo di fondi dal conto di un cliente per coprire altre posizioni.

La Corte d’Appello aveva escluso la rilevanza disciplinare di tali condotte, in quanto non avevano arrecato alcun danno o erano state comunque sanate da successivi comportamenti riparatori del dipendente. Il giudice aveva quindi annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento del danno.

La banca ha proposto dunque ricorso in Cassazione, contestando la non corretta valutazione, da parte della Corte d’Appello, della gravità delle condotte adottate dal dipendente.

La Cassazione ribadisce che può essere effettuato licenziamento per giusta causa in occasione di comportamenti talmente gravi da far ritenere che la prosecuzione del rapporto di lavoro costituirebbe un danno per l’azienda. Il giudice, dunque, è tenuto ad effettuare una valutazione complessiva della condotta del lavoratore, prendendo in considerazione le modalità di adozione del comportamento e i suoi effetti, la posizione ricoperta dal lavoratore e l’eventuale intenzionalità del suo comportamento, nonché il particolare vincolo di fiducia intercorrente tra lavoratore e datore di lavoro.

La condotta dei dipendenti di una banca, in particolare, deve essere valutata in modo rigoroso, data la delicatezza dei compiti svolti. Infatti, il comportamento scorretto del dipendente di una banca può ledere l’affidamento riposto non solo dal datore di lavoro, ma anche dal pubblico nella lealtà e correttezza del personale degli istituti di credito.

Tutto ciò indipendentemente dalle conseguenze della condotta del dipendente: infatti, è irrilevante il danno economico subito dal datore di lavoro o l’eventuale utile conseguito dal dipendente per effetto della sua condotta, in quanto anche un comportamento privo di effetti concreti è idoneo a minare la fiducia da parte del datore di lavoro.

Parimenti, l’eventuale comportamento successivo del dipendente, volto a eliminare gli effetti dannosi della propria condotta, non escludono la rilevanza disciplinare della stessa, potendo al più essere prese in considerazione dal giudice per valutare se il licenziamento costituisce una sanzione adeguata e proporzionata.

La Cassazione, dunque, alla luce di queste ragioni, censura la pronuncia del giudice di secondo grado e rinvia la causa a una diversa Corte d’Appello.

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