Mancato godimento della pausa di lavoro: su chi grava l’onere probatorio?

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La pausa di lavoro, diritto costituzionalmente garantito al prestatore di lavoro, consiste nell’interruzione dell’attività lavorativa giornaliera che è finalizzata a garantire un’agevolazione di carattere assistenziale diretta a consentire al prestatore di lavoro il recupero delle energie psicofisiche, con conseguente maggiore efficienza e produttività per l’Azienda.

La legge e i contratti collettivi, infatti, oltre a stabilire la durata massima della giornata lavorativa, assicurano al lavoratore il riconoscimento di diverse tipologie di pause lavorative differenti per durata in base a criteri oggettivi quali l’orario di lavoro e la peculiarità delle mansioni assegnate al lavoratore.

Rilevante in questa sede è il comma 1 dell’art. 8 del D.lgs. n. 66/2003, che prevede un “intervallo per pausa” nel caso in cui l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, al fine di consentire al lavoratore il recupero delle energie psicofisiche, l’eventuale consumazione del pasto, nonché al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.

Nel caso di specie, i lavoratori, dipendenti di un Istituto di Vigilanza, ricorrevano giudizialmente al fine di sentir condannare la società datrice al pagamento di differenze retributive, per il mancato godimento dei dieci minuti di pausa giornaliera come prevista dall’art. 74 del CCNL per i dipendenti degli Istituti di Vigilanza.


La Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, stante la natura compensativa e non retributiva del compenso richiesto e avendo i lavoratori allegato esclusivamente la mancata fruizione della pausa di lavoro di dieci minuti, ma non anche del riposo compensativo previsto dalla contrattazione collettiva di categoria.

In ragione di ciò, i lavoratori impugnavano la pronuncia di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione.

I giudici della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8626 del 2 aprile 2024 – ribaltando la pronuncia di merito – rilevavano preliminarmente che il lavoratore che presti un’attività con orario giornaliero superiore alle sei ore consecutive, ha diritto ad una pausa retribuita della durata di dieci minuti da fruire sul posto di lavoro o, in mancanza, ad un riposo compensativo di pari durata nei trenta giorni successivi ai fini del recupero delle sue energie psicofisiche.

Pertanto, nel caso in cui le peculiarità della prestazione impediscano di fruire della pausa giornalmente, il datore può, anche unilateralmente, prevedere diverse modalità di recupero, che non risultino penalizzanti per il prestatore e che siano tali da garantire, nel concreto contesto lavorativo, l’effettività del recupero psico-fisico del dipendente.

Secondo gli Ermellini, laddove il datore non operi neanche in tal senso il lavoratore può agire giudizialmente al fine di ottenere il ristoro per la mancata fruizione delle pause.

Alla luce di tali presupposti, la Suprema Corte accoglieva il ricorso proposto dai lavoratori e cassava con rinvio l’impugnata pronuncia, affermando il seguente principio di diritto: “Nel caso di mancato godimento da parte del lavoratore delle pause retributive della durata di dieci minuti previste dall’art. 74 del CCNL per i dipendenti degli Istituti di Vigilanza Privata – l’onere del lavoratore di allegazione e prova del fatto costitutivo del proprio diritto riguarda la prestazione di un’attività giornaliera superiore a sei ore consecutive, senza aver goduto della pausa retribuita; le modalità alternative, così come il godimento di riposi compensativi, devono invece essere provati dal datore di lavoro”.

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