Mobbing: la responsabilità può essere solo del dirigente?

Con l’ordinanza interlocutoria n. 13649 del 21 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha sollevato un tema di particolare rilevanza nel contesto del diritto del lavoro: può un dirigente pubblico rispondere in via esclusiva per condotte di mobbing, anche se il datore di lavoro (nella specie un’azienda sanitaria) è stato ritenuto estraneo ai fatti?

La questione non è solo teorica, ma ha ricadute concrete su come viene configurata la responsabilità all’interno dell’ambiente lavorativo pubblico, in particolare quando i comportamenti lesivi derivano da superiori gerarchici e non dall’ente nel suo complesso.

Il caso oggetto della pronuncia vede coinvolta una dirigente medica, condannata nei precedenti gradi di giudizio per condotte vessatorie e persecutorie nei confronti di una collega psichiatra, protrattesi per oltre due anni.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna già inflitta in primo grado, rilevando che la dirigente aveva progressivamente esautorato la lavoratrice dalle sue funzioni assistenziali, pur in assenza di esigenze organizzative, e in aperto contrasto con le disposizioni impartite dall’ASP (Azienda Sanitaria Provinciale).

In sostanza, secondo i giudici di merito, i provvedimenti erano motivati non da ragioni oggettive, ma da un giudizio soggettivo – e non comprovato – di inadeguatezza professionale. Tale condotta, proprio perché reiterata e finalizzata all’emarginazione, è stata ritenuta configurare un vero e proprio mobbing.

Tuttavia, la particolarità del caso sta nel fatto che l’ente datore di lavoro – l’Azienda Sanitaria Provinciale – è stato dichiarato esente da responsabilità, in quanto ritenuto diligente nella gestione del personale e attivo nel contrastare il comportamento del dirigente.

La dirigente, nel ricorso in Cassazione, ha dunque eccepito l’illogicità di una condanna personale laddove il datore di lavoro fosse stato assolto, sostenendo che i suoi atti fossero comunque imputabili all’ente in qualità di dirigente di struttura complessa. Ha inoltre lamentato l’errata applicazione della disciplina giuridica, in particolare chiedendo se la sua eventuale responsabilità debba essere qualificata come contrattuale ex art. 2087 c.c. oppure extracontrattuale ex art. 2043 c.c..

La Corte di Cassazione, pur senza decidere nel merito, ha riconosciuto la rilevanza sistemica della questione, rimettendo la causa all’udienza pubblica.

In particolare, il Collegio ha ritenuto opportuno un approfondimento sulla natura della responsabilità del dirigente, interrogandosi espressamente sulla possibilità che tale responsabilità possa essere autonoma ed esclusiva rispetto a quella dell’ente e, in caso affermativo, se essa debba essere ricondotta alla disciplina contrattuale di cui all’art. 2087 c.c. (obbligo di tutela del datore di lavoro) oppure a quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (illecito civile).

Si tratta di una riflessione che potrebbe avere ampie implicazioni, soprattutto in ambito pubblico, dove i dirigenti esercitano poteri gestionali in nome e per conto dell’amministrazione.

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