Non rileva per il calcolo della tredicesima mensilità il congedo parentale per assistere il figlio malato

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Con l’Ordinanza n. 24206/2020 della Cassazione è stato chiarito che, ai fini del calcolo della tredicesima mensilità, non rileva il congedo di cui la lavoratrice abbia beneficiato per assistere il figlio affetto da grave malattia.

Nel caso di specie, una lavoratrice nel 2006 fruiva del congedo parentale per la necessità di assistere il figlio minore malato di leucemia. La donna ha agito, quindi, in giudizio per richiedere il riconoscimento delle quote di tredicesima relative al detto periodo, della rivalutazione e degli interessi maturati su altri importi retributivi pagati tardivamente, oltre al risarcimento del danno di € 100.000,00 in ragione di tali ritardi e per la mancata comunicazione da parte della P.A. della data della prova orale di un concorso interno, durante il periodo di assenza, e del fatto che il datore di lavoro stesse contattando i soggetti in graduatoria per la firma del contratto.

In primo grado, il giudice ha rigettato tutte le richieste della lavoratrice. La Corte d’Appello, invece, ha riconosciuto il diritto alla maggior somma tra interessi e la rivalutazione per i pregressi pagamenti tardivi, rigettando la domanda relativa alle quote della tredicesima in quanto l’art. 43 comma 2, D.lgs. n. 151/2001 escludeva dal calcolo della tredicesima mensilità i periodi di congedo parentale.

La lavoratrice, alla luce di ciò, ha proposto ricorso in Cassazione sollevando quattro motivi di doglianza.

Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 42, co. 5, D. Lgs. 151/2001, nella versione previgente rispetto alle modifiche apportate dall’art. 4, co. 1 lett. b) D. Lgs. 119/2011, sottolineando come la norma rinviasse alle regole sulla corresponsione dell’indennità di maternità e quindi all’art. 22, che a propria volta riconosceva il diritto alla considerazione del periodo di congedo per il calcolo della tredicesima, anche perché altrimenti – come dedotto nel secondo motivo – si sarebbe realizzato un trattamento discriminatorio, in pregiudizio della situazione di disabilità, oltre che una disparità di trattamento, suscettibile di rilievo sotto il profilo del diritto di eguaglianza, rispetto al caso del congedo per maternità.

Con il terzo e quarto motivo, invece, la ricorrente ha censurato la sentenza d’Appello per non essersi pronunciata circa l’eccezione di omessa pronuncia da parte del Tribunale sulla domanda risarcitoria e per non aver esaminato il complesso delle condotte illegittime da cui sarebbe derivato il danno richiesto.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24206/2020, ha rigettato il ricorso proposto dalla lavoratrice. Più in particolare, la Corte ha ritenuto i primi due motivi infondati, in quanto il congedo parentale, come sancito espressamente anche prima della novella del 2011, non rileva ai fini del conteggio della tredicesima. Inoltre, la discriminazione tra congedo per assistere il figlio malato e congedo di maternità non sussiste in quanto quest’ultimo viene associato ad un evento unico e diverso, quale l’arrivo di un figlio.

Il terzo e il quarto motivo sono invece risultati inammissibili per carenza di specificità, poiché la ricorrente non ha trascritto i passaggi necessari della motivazione della sentenza del Tribunale, per consentire alla Corte di constatare sia le deduzioni svolte a fondamento della pretesa, sia la sussistenza del vizio denunciato in appello rispetto alla pronuncia di primo grado.

Il ricorso è stato dunque integralmente disatteso, ma la novità e complessità delle questioni di diritto inerenti al regime dei congedi per disabilità ha determinato la compensazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

Foto di Gustavo Fring