La controdichiarazione è l’atto mediante il quale una delle parti contraenti svela la simulazione di un contratto, ossia la conclusione di un contratto apparente al fine di dissimulare l’avvenuta stipula di un diverso contratto: le conseguenze di questo schema sono determinate dall’art. 1414 c.c., comma 2: “Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”.
Se il requisito di forma è imposto dalla legge a pena di nullità, effetto della simulazione sarà, naturalmente, la dichiarazione di nullità del contratto dissimulato.
È il risultato che il ricorrente, nella vicenda giunta innanzi alla Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, intendeva ottenere.
Il ricorrente chiedeva infatti al Tribunale di dichiarare la nullità del contratto con il quale aveva alienato alla figlia e al genero un immobile, trattandosi di compravendita che celava, tuttavia, una donazione priva della forma solenne richiesta dalla legge. Tutto ciò convenendo in giudizio gli eredi del genero, scomparso successivamente all’alienazione.
La pretesa si fondava su una controdichiarazione scritta della figlia, in ragione della quale il Tribunale ha dato poi ragione all’attore.
La dichiarazione di nullità pronunciata dal giudice di primo grado veniva in seguito riformata dalla Corte d’Appello, la quale respingeva la pretesa dell’appellato sulla base dell’argomento secondo cui la controdichiarazione di sua figlia non sarebbe stata opponibile agli eredi, in quanto proveniente da una sola delle parti contraenti.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22662 del 19/07/2022, accoglie due dei tre motivi di ricorso, ribadendo una serie di principi in materia di simulazione.
Richiamando una consolidata giurisprudenza sul punto, la Corte afferma che la controdichiarazione non è un atto avente carattere negoziale, in quanto non è elemento la cui presenza è necessaria ai fini della validità del negozio, ma è meramente atto di riconoscimento dell’accordo simulatorio; tale atto, non prendendo parte al procedimento simulatorio, può ben provenire da una sola parte contraente, purché si tratti della parte titolare di un interesse contrario alla rilevazione della simulazione, cioè della parte che trae vantaggio dalla simulazione. Nel caso di specie, dunque, non era necessario che la controscrittura provenisse anche dall’altro acquirente, ossia dal genero.
In secondo luogo, la controdichiarazione era stata prodotta dalla figlia del ricorrente al tempo in cui suo marito era già deceduto: i figli, all’epoca minori, erano dunque succeduti nella proprietà dell’immobile, ma la madre amministrava il bene ai sensi dell’art. 320 c.c. Non avendo previamente ottenuto l’autorizzazione da parte del giudice tutelare, resta da chiarire se questa fosse realmente necessaria, ossia se la controdichiarazione, che avrebbe inevitabilmente privato i figli della proprietà del bene, fosse un atto di ordinaria o straordinaria amministrazione.
La Suprema Corte afferma che non si tratta di atto eccedente l’ordinaria amministrazione: infatti, affinché si possa parlare di atto di ordinaria amministrazione, è essenziale la sussistenza congiunta di tre elementi:
- l’oggettiva utilità rispetto alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio;
- un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto, ma soprattutto in relazione al valore complessivo del patrimonio;
- la sussistenza di un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche peculiari del patrimonio in questione.
Ad avviso della Corte, la controdichiarazione presentava tutte queste caratteristiche, dunque la sua effettuazione non necessitava dell’autorizzazione da parte del giudice tutelare.
Foto di Andrea Piacquadio