Il CCNL costituisce una fonte esterna di regolazione del rapporto di lavoro; infatti, a norma dell’art. 2077 del codice civile, il contratto individuale stipulato tra lavoratore e datore di lavoro appartenenti a una determinata categoria deve uniformarsi al contratto collettivo riferito alla medesima categoria; di conseguenza, le clausole del contratto individuale difformi rispetto al CCNL vengono sostituite di diritto da quelle collettive, salvo che le prime non contemplino condizioni più favorevoli per il lavoratore rispetto alle seconde.
Il caso giunto recentemente innanzi alla Corte di Cassazione, riguarda, tuttavia, non il rapporto tra contratto individuale e contratto collettivo, bensì la relazione tra due contratti collettivi.
Il ricorrente era un giornalista con mansioni di radio-reporter, il cui rapporto di lavoro era stato disciplinato fino al 1994 dal contratto nazionale di lavoro giornalistico, per poi essere regolato dal contratto collettivo nazionale Radiotelevisioni private; il CCNL da ultimo citato prevedeva, tuttavia, un inquadramento professionale differente, con conseguente decremento retributivo per il ricorrente.
Tale mutamento di condizioni contrattuali, a detta del ricorrente, sarebbe stato posto in essere in violazione dell’art. 2077, in quanto le condizioni retributive di maggior favore per il lavoratore dettate dal contratto individuale avrebbero dovuto essere conservate a seguito del mutamento del CCNL; inoltre, il ricorrente lamentava violazione dell’art. 2113 c.c., il quale tutela i diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge, quale il diritto alla retribuzione, cui il lavoratore non può rinunciare se non attraverso una conciliazione da attuarsi in sede protetta; infine, vi sarebbe stata una violazione dell’art. 27, comma 4, del CCNL Radiotelevisioni private, il quale disponeva che i dipendenti i cui rapporti, sino al momento di entrata in vigore del nuovo CCNL, erano stati disciplinati da altro contratto collettivo, non avrebbero subito modificazioni dell’inquadramento.
La Cassazione, con ordinanza n. 31148 del 21/10/2022, ha preso in considerazione i motivi esposti dal ricorrente.
Anzitutto, la Suprema Corte dà peso al fatto che il ricorrente e il suo datore di lavoro (Radio Dimensione Suono S.p.A.), nel modificare il contratto individuale di lavoro, avevano indicato il nuovo CCNL come fonte collettiva del rapporto; l’art. 27, comma 4, del CCNL Radiotelevisioni private, a detta della Corte, non limitava in alcun modo la libera espressione della volontà delle parti, le quali avrebbero potuto serenamente fare riferimento, nel contratto individuale, al nuovo CCNL, con conseguente modificazione dell’inquadramento professionale.
In secondo luogo, la Cassazione prende in considerazione la relazione tra i contratti collettivi e il contratto individuale di lavoro.
Il ricorrente sosteneva la fondatezza di uno schema in forza del quale la clausola concernente l’inquadramento professionale, dettata dal precedente CCNL, sarebbe entrata a far parte permanentemente del contratto individuale; a ciò sarebbe conseguito il fatto che la clausola in questione, di maggior favore per il lavoratore, non avrebbe potuto essere modificata dal nuovo CCNL, a norma dell’art. 2077 c.c..
La Corte smentisce tale ricostruzione, precisando anzitutto che la fattispecie della successione tra diversi contratti collettivi non entra nel campo di applicazione dell’art. 2077 c.c., il quale concerne esclusivamente i rapporti tra contratto individuale e contratto collettivo.
Prosegue la Corte sostenendo che il contratto collettivo non costituisce parte integrante del contratto individuale, bensì funge da fonte esterna di regolamento. Il lavoratore non ha quindi diritto alla conservazione, per il futuro, del trattamento retributivo acquisito per tramite di un contratto collettivo, in quanto il diverso CCNL può modificare le condizioni retributive anche in senso peggiorativo (sempre che le parti individuino, come fonte collettiva del rapporto, il diverso CCNL).
Sono tuttavia fatti salvi i diritti già acquisiti, quali le retribuzioni per prestazioni di lavoro svolte durante la vigenza del primo contratto collettivo. Infine, la Suprema Corte afferma che la modifica del contratto individuale, consistente nella sostituzione del CCNL di riferimento, non costituisce rinunzia a diritti acquisiti dal lavoratore; dunque, in caso di successione tra CCNL, non è necessario che il contratto individuale venga modificato in sede protetta.
Foto di Ono Kosuki