La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7058/2022, ha stabilito che nelle cause di risarcimento danni derivanti da malattia professionale anche multifattoriale, il dipendente è tenuto a provare il solo nesso di causalità tra le mansioni espletate e la nocività dell’ambiente di lavoro.
Nella fattispecie, un dipendente di Enel Distribuzione S.p.A. adiva il Tribunale di Sulmona al fine di far accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dell’azienda nella causazione dei danni esistenziali, biologici, morali, patrimoniali e non, dovuti allo svolgimento di mansioni usuranti relative allo spostamento di carichi, esposizione a vibrazioni e posture incongrue, lamentando l’omissione da parte del datore di lavoro circa l’adozione di misure di tutela idonee a prevenire tali rischi.
Il Tribunale di Sulmona accoglieva la domanda avanzata dal dipendente, condannando la Società al pagamento di un risarcimento del danno pari a euro 40.612,96.
Avverso tale pronuncia, il datore di lavoro proponeva impugnazione innanzi alla Corte di Appello di L’Aquila, all’esito della quale, in riforma integrale della sentenza di primo grado, la domanda del lavoratore era rigettata.
Sul punto, i giudici di secondo grado rilevavano che il dipendente non aveva fornito prova sufficiente circa la sussistenza di omissioni datoriali specifiche e relative all’adozione di adeguate misure di sicurezza; che non sussisteva prova idonea in ordine al nesso di causalità tra attività lavorativa svolta e malattia denunciata, per accertare la sussistenza di una responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., oppure per fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c.; e da ultimo, essendo una malattia multifattoriale, ai fini del riconoscimento del nesso di causalità era necessaria la sussistenza di una probabilità qualificata, supportata da adeguati riscontri di carattere epidemiologico, assenti nel caso di specie.
Avverso tale decisione, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, cui ha resistito con controricorso Enel Distribuzione S.p.A.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7058/2022.
I giudici di legittimità hanno rilevato che la Corte di Appello, nel richiamare i principi relativi alla ripartizione dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ha posto in capo al lavoratore il dovere di dimostrare la sussistenza di specifiche omissioni datoriali nell’adozione di misure antinfortunistiche richieste dalla particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica e idonee ad evitare il danno. Pertanto, solo ove fosse stata fornita tale evidenza, il datore di lavoro avrebbe dovuto provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del pregiudizio.
Ad avviso della Suprema Corte, la predetta argomentazione è frutto di un errore di diritto in tema di ripartizione della prova, in quanto finisce per porre a carico del lavoratore la dimostrazione di violazioni commesse dal datore di lavoro. Ed invero, al dipendente spetta l’onere di provare il solo nesso di causalità tra mansioni espletate e nocività dell’ambiente di lavoro, rimanendo a carico del datore la dimostrazione di aver adottato le necessarie misure di sicurezza per impedire il verificarsi del danno, atteso che l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, dal momento che la responsabilità del datore di lavoro “va collegata alla violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento”.
Sulla base delle suesposte motivazioni, la Corte ha accolto il ricorso, cassando in parte la sentenza impugnata con rinvio al giudice di secondo grado per il riesame del materiale istruttorio.
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