L’avvocato, come qualsiasi prestatore di opera intellettuale, risponde del non esatto o del mancato adempimento delle proprie obbligazioni ai sensi dell’art. 1218 c.c., oltre a poter andare incontro a responsabilità disciplinare ai sensi delle disposizioni del codice deontologico forense.
Tuttavia, affinché in capo al professionista si possa configurare una responsabilità contrattuale, è sempre necessario individuare un nesso di causalità tra il danno subito dal cliente e la condotta inadempiente tenuta dal professionista.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 33442 del 14/11/2022, ha ribadito le ulteriori caratteristiche che la fattispecie deve presentare affinché il professionista vada incontro a responsabilità.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte concerneva un condominio cui era stato notificato un decreto ingiuntivo riguardante il pagamento di opere di rifacimento del tetto e di altre opere extra-contratto. Il condominio intendeva opporsi adducendo la presenza di vizi nelle opere realizzate dalla società edile, nonché la mancata ultimazione dei lavori. Tuttavia il legale, pur avendo stilato atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, non l’aveva successivamente notificato, causando il passaggio in giudicato del provvedimento. Dunque, il condominio sosteneva di aver subito, a seguito di tale mancanza, un danno pari all’importo indicato dal decreto ingiuntivo.
Dopo essere risultato soccombente sia in primo che in secondo grado, il condominio aveva fatto ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte rammenta che, affinché il prestatore d’opera intellettuale possa considerarsi responsabile, è necessario offrire prova del danno e indagare il nesso di causalità; quest’ultimo deve sussistere sia con riferimento al rapporto tra l’omissione e l’evento dannoso (ossia, il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo) che in relazione al rapporto tra l’evento e il danno. Dato che il professionista non può garantire l’esito positivo della pratica, il nesso di causalità deve essere valutato secondo il criterio del “più probabile che non”; vale a dire, è necessario verificare se, qualora l’avvocato avesse adempiuto perfettamente ai propri doveri, la causa non avrebbe comunque avuto, in termini probabilistici, esito negativo.
Nel caso di specie, i giudici dei precedenti gradi avevano già considerato che l’avvocato non disponesse del materiale probatorio necessario a sostenere le ragioni del proprio cliente.
Un elemento attraverso il quale il condominio avrebbe potuto evitare le conseguenze dannose sarebbe stata la clausola arbitrale, la quale, se diligentemente eccepita dall’avvocato, avrebbe portato alla revoca del decreto ingiuntivo e all’instaurazione di un nuovo procedimento innanzi al collegio arbitrale o all’arbitro unico. Tuttavia, il condominio aveva citato in giudizio il suo legale limitatamente alla mancata notifica dell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, mentre solo con la memoria ex art. 183, comma VI, n. 2, c.p.c. aveva allegato il fatto che l’avvocato avrebbe potuto attivare la clausola arbitrale; ma, visto che tale facoltà processuale è limitata alle richieste istruttorie, in quella sede il condominio non poteva introdurre nuovi profili di colpa dell’avvocato.
La Corte di Cassazione rigetta dunque il ricorso.
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