Il figlio, così come l’autore del riconoscimento e chiunque vi abbia interesse, ha la possibilità di impugnare il riconoscimento da parte del genitore per difetto di veridicità, ai sensi dell’art. 263 del Codice civile. Peraltro, qualora ad agire sia il figlio riconosciuto, l’azione non è soggetta a prescrizione (che è di cinque anni a decorrere dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita, se ad agire sono gli altri soggetti legittimati).
Ovviamente, al fine di ottenere la dichiarazione di nullità del riconoscimento, chi agisce dovrà provare che il genitore riconoscente non è effettivamente il genitore biologico. In tal senso, le dichiarazioni, da parte della madre, che confermino quanto sopra, hanno rilevante valore probatorio; tale valore potrebbe cambiare qualora tali dichiarazioni fossero riferite da un terzo e riportate in un documento.
Nel caso recentemente sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, l’attore era venuto a sapere dalla madre, al termine di un’aspra lite, che colui che egli credeva essere suo padre biologico in realtà non lo era, in quanto aveva effettuato il riconoscimento spinto dall’amore per la madre. La sorella dell’attore, a seguito di confidenze da parte della madre, era venuta a conoscenza dell’identità del padre biologico dell’attore, rintracciato poi dal figlio.
Quest’ultimo, dunque, aveva agito nei confronti della sorella – unica discendente del presunto padre – per la pronuncia di nullità del riconoscimento; ma la Corte d’Appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda: da un lato, i risultati dell’indagine genetico-ematologica avevano evidenziato una probabilità dell’87% che il riconoscente non fosse il padre biologico, percentuale reputata non sufficiente per affermare la circostanza con ragionevole certezza; in più, le ammissioni della madre, riferite dalla sorella dell’attore all’interno dell’atto di costituzione in giudizio, erano state considerate irrilevanti in assenza di conferma mediante deposizione testimoniale della madre stessa. La Suprema Corte, con ordinanza n. 35998 del 7 dicembre 2022, premette che le conclusioni adottate dalla Corte d’Appello, qualora fossero state svolte in un procedimento concernente diritti patrimoniali, sarebbero state corrette, in quanto coerenti con un consolidato orientamento giurisprudenziale. Tuttavia – precisa la Cassazione – all’interno di un giudizio concernente la filiazione, le dichiarazioni della madre, anche se riferite da altro familiare e non rese dalla madre stessa in ambito di deposizione testimoniale, hanno un valore quanto meno indiziario, e sono, dunque, rilevanti all’interno di un quadro probatorio più ampio. Infatti, con riferimento a situazioni caratterizzanti i contesti familiari, determinate informazioni sono conosciute prevalentemente o esclusivamente dai membri della famiglia, per cui non è corretto escludere del tutto la valenza di dichiarazioni riportate anche de relato, in quanto, da un punto di vista probabilistico, potrebbero comunque rispecchiare la realtà dei fatti.
Foto di Daria Obymaha