Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 146/2022, ha stabilito che il lavoro supplementare è consentito, in caso di prestazione part-time, nella misura e nei limiti imposti dal contratto. Pertanto, qualora sussista una divergenza tra quanto pattuito inizialmente nello stesso e quanto effettivamente realizzato, il giudice può riconoscere il diritto al consolidamento del maggior orario, nascente dalle reali modalità di svolgimento della prestazione.
Nel caso di specie, una dipendente di un’impresa di pulizie – con contratto di lavoro part- time a tempo indeterminato a 15 ore settimanali e con assenza di concordate clausole flessibili o elastiche – ha convenuto innanzi al Tribunale di Roma l’azienda datrice per averle richiesto – dal giugno 2018 e sino all’agosto 2020 – un notevole numero di ore di lavoro supplementare.
La lavoratrice ha chiesto l’accertamento del diritto al consolidamento del maggior orario di lavoro con la conseguente trasformazione del rapporto di lavoro in part- time al 75% e per l’effetto, la condanna dell’azienda al pagamento delle differenze retributive indirette e differite.
L’impresa convenuta si è costituita tempestivamente in giudizio richiedendo il rigetto del ricorso.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Roma con sentenza n. 146/2022.
In via preliminare, l’art. 33 del CCNL di settore dispone che il lavoro supplementare consiste nello svolgimento delle prestazioni lavorative oltre l’orario di lavoro concordato tra le parti nel contratto individuale ed entro il limite del tempo pieno, qualora sussistano specifiche esigenze tecnico-organizzative e produttive.
Inoltre, l’art. 6, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni oltre l’orario di lavoro, purché concordate dalle parti, anche in relazione alle giornate, settimane o mesi e nel rispetto dei limiti del normale orario di lavoro. Peraltro, al successivo comma, prevede che nel caso in cui il CCNL di settore non disciplini il lavoro supplementare, il datore può chiederne lo svolgimento al lavoratore in misura non superiore al 25% delle ore settimanali concordate. In tali occasioni, il lavoratore può opporre il suo rifiuto solo ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
A tal riguardo, il giudice di prime cure ha evidenziato che dalla lettura combinata dell’art. 6 del D. Lgs. n. 81/2015 e dell’art. 33 del CCNL si evince che quest’ultimo si limita a specificare che il lavoro supplementare è ammesso fino al raggiungimento dell’orario a tempo pieno giornaliero e/o settimanale, non fornendo alcuna indicazione in merito al limite massimo percentuale di ampliamento dell’orario aggiuntivo rispetto a quello inizialmente pattuito. Contrariamente, è la norma primaria a stabilire tale limite nella misura non superiore del 25%, in caso di mancata disciplina da parte del CCNL di settore.
Pertanto, laddove si richieda lo svolgimento di prestazioni lavorative supplementari, queste sono consentite rispetto al lavoro part time “per come fissato dal contratto”, configurandosi altrimenti un abuso di tale strumento.
Nella fattispecie, oltre a non essere state rilevate le “specifiche esigenze tecnico- organizzative e produttive” dell’azienda, sono stati ampiamente superati i limiti di tempo imposti dalle norme.
In tale caso, ad avviso del Tribunale, ciò che rileva ai fini del consolidamento del maggior orario, è il numero minimo di ore richiesto ogni mese – dal 2018 al 2020 – in aggiunta al normale orario di lavoro concordato.
Pertanto, nel richiamare una consolidata giurisprudenza, è stato chiarito che non si considerano decisive le clausole che regolano il negozio costitutivo del rapporto lavorativo, essendo rilevante il suo concreto atteggiarsi. Infatti, qualora il giudice ravvisi una divergenza tra quanto pattuito e quanto effettivamente compiuto, può riconoscere i diritti nascenti dalle reali modalità di svolgimento della prestazione, tra cui il consolidamento dell’orario di lavoro.
Il Tribunale sulla base di tali principi ha disposto la trasformazione del rapporto di lavoro in part-time al 61,36% e ha riconosciuto il diritto al consolidamento del maggior orario di lavoro, rigettando nel resto il ricorso e condannando la società al pagamento delle differenze retributive.
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