La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7642/2022, ha stabilito che la sanzione disciplinare inflitta ad un pubblico dipendente non può considerarsi illegittima solo perché il dirigente preposto ha trasmesso gli atti all’ufficio competente oltre i cinque giorni dalla notizia del fatto.
Nel caso di specie, un’azienda ospedaliera aveva irrogato nei confronti di un dipendente la sanzione della sospensione di sei mesi per aver svolto prestazioni professionali e di docenza esterne, senza autorizzazione della P.A. di appartenenza.
Pertanto, il dipendente ha convenuto l’azienda ospedaliera dapprima innanzi al Tribunale di Roma e successivamente alla Corte di Appello di Roma che, nel confermare la sentenza di primo grado ha rigettato l’impugnazione della sanzione disciplinare. Sul punto, la Corte territoriale ha evidenziato, oltre che la natura non perentoria del termine di cinque giorni, altresì che, nel caso in questione, la segnalazione fosse pervenuta da un soggetto esterno alla P.A. e che la contestazione dell’addebito fosse stata effettuata ad una distanza di tempo molto breve (in data 12.12.2013) dall’apprendimento della notizia del fatto avvenuta in data 04.12.2013.
Avverso tale decisione, il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione.
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte con l’ordinanza in commento.
Sul punto, i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’assunto della Corte di Appello sulla non perentorietà del termine di cinque giorni fosse conforme all’orientamento giurisprudenziale espresso dalla stessa Corte di Cassazione con diverse pronunce. Ed invero, in tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, l’art. 55 bis del D. Lgs. n. 165/2001, nel delineare i tempi della contestazione, impone al dirigente preposto di inoltrare gli atti all’ufficio competente “entro cinque giorni dalla notizia del fatto”. Inoltre, è prescritto all’ufficio disciplinare di contestare l’addebito entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione degli atti. Pertanto, la Corte ha escluso che l’inosservanza del primo termine possa determinare l’illegittimità della sanzione inflitta, “assumendo rilievo la sua violazione solo allorché la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva contestazione dell’illecito”.
Ad avviso della Corte di Cassazione, non può neppure ravvisarsi una violazione del principio di tempestività e proporzionalità della sanzione, in quanto proposti in modo del tutto generico, riducendosi ad una mera sollecitazione di una diversa valutazione del merito.
Sulla base dei suesposti motivi, la Suprema Corte ha disposto il rigetto del ricorso proposto dal dipendente dell’azienda ospedaliera, condannando lo stesso ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
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