Il pagamento dei contributi in caso di trasferimento d’azienda illegittimo

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L’art. 2112 del codice civile prevede che, in caso di trasferimento d’azienda, i lavoratori impiegati alle dipendenze dell’imprenditore cedente continuino a lavorare alle dipendenze del cessionario, conservando tutti i diritti di cui godevano in precedenza. Dunque, come è ovvio, a partire dal momento della cessione il nuovo datore di lavoro dovrà versare, a fronte della prestazione lavorativa dei dipendenti, sia le retribuzioni che i contributi previdenziali.

Qualora, tuttavia, il trasferimento d’azienda dovesse essere successivamente dichiarato illegittimo, i lavoratori torneranno alle dipendenze dell’originario datore di lavoro. Con riferimento a tale ipotesi, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9143 del 31/03/2023, ha affrontato la questione dell’obbligo di versamento dei contributi per il periodo di validità del trasferimento d’azienda poi dichiarato illegittimo.

La questione era sorta con riferimento a un caso di cessione di ramo d’azienda. La Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto che l’obbligo di versare i contributi previdenziali per il periodo di efficacia della cessione non fosse a carico della società cedente: a detta della Corte d’Appello, visto che l’obbligo contributivo è legato al rapporto di lavoro, e dato che il rapporto di lavoro era in quel momento instaurato nei confronti dell’imprenditore cessionario, sulla società cedente non sarebbero gravati obblighi né retributivi né contributivi.

Su ricorso da parte dell’INPS, la Corte di Cassazione ribalta la decisione della Corte d’Appello. Secondo la Cassazione, in caso di dichiarazione di illegittimità del trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro viene ricostituito nei confronti dell’originario datore di lavoro con effetto retroattivo, ossia come se egli fosse stato l’effettivo datore anche durante il periodo di validità della cessione; di conseguenza, per tale periodo, l’imprenditore cedente sarà tenuto a versare sia le retribuzioni che i contributi.

La Cassazione rammenta, inoltre, che seppur i contributi previdenziali siano calcolati sulla base della retribuzione, il rapporto previdenziale – avente come controparte l’INPS – e il rapporto lavorativo – avente come controparte il lavoratore – sono autonomi l’uno rispetto all’altro; per cui, anche nel caso in cui il lavoratore, durante il periodo di vigenza della cessione, avesse reso la prestazione lavorativa nei confronti dell’imprenditore cessionario, il cedente sarà comunque tenuto a versare i contributi all’INPS: l’obbligazione contributiva permane, infatti, a prescindere dalle modalità con cui è stata svolta la prestazione lavorativa e a prescindere dal fatto che le retribuzioni siano state versate o meno.

D’altronde, l’obbligazione contributiva dell’imprenditore cedente non decade neanche nel caso in cui il cessionario abbia a sua volta versato i contributi durante il periodo di efficacia del trasferimento d’azienda, in quanto l’obbligo contributivo ha natura inderogabile ai sensi dell’art. 2115, comma 3, del codice civile: “È nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza”; dato che, a seguito della dichiarazione di illegittimità del trasferimento, l’imprenditore cessionario non figura più come nuovo datore di lavoro ma come terzo estraneo, l’ente previdenziale ha interesse a ottenere il pagamento dei contributi solo da parte dell’imprenditore cedente.

In definitiva, la Corte di Cassazione afferma il principio secondo cui, in caso di illegittimità della cessione di azienda, l’obbligo di pagare i contributi permane in capo all’imprenditore cedente anche con riferimento al periodo durante il quale la prestazione lavorativa è stata resa in favore dell’imprenditore cessionario.

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