In un contesto sempre più competitivo e globalizzato, l’immagine aziendale rappresenta un bene di inestimabile valore per le imprese, che va dunque protetto rispetto agli attacchi e i rischi sottesi ai rapporti contrattuali, compresi quelli con lavoratori, collaboratori e agenti.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24060 del 06/09/2024, ha ripercorso il tema della prova del danno all’immagine, precisando cosa serva per dimostrare la sussistenza di una lesione alla reputazione commerciale.
Il caso trattato dalla Corte riguardava una banca che aveva richiesto il risarcimento del danno all’immagine aziendale subito a causa del comportamento di un suo ex promotore finanziario; infatti, la banca aveva risolto il contratto di agenzia con il promotore per giusta causa dopo che questi era stato coinvolto in un’indagine penale relativa a una maxi-truffa.
Tuttavia, la Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta, ritenendo che il danno non fosse stato adeguatamente provato. Nello specifico, secondo la Corte d’Appello, la banca avrebbe dovuto fornire una prova economica del danno subito: ad esempio, avrebbe dovuto provare di aver affrontato delle spese per il ripristino della propria reputazione commerciale.
La banca si rivolge, dunque, alla Corte di Cassazione, la quale non concorda con la Corte d’Appello.
La Cassazione precisa, anzitutto, che il danno all’immagine fa parte della folta schiera di diritti della persona costituzionalmente garantiti, riconosciuti sia a persone fisiche che a società; la lesione di tali diritti comporta un danno non patrimoniale, ossia un danno che non può essere valutato economicamente con immediatezza.
La Cassazione continua affermando che, come ogni danno, il danno all’immagine deve essere provato. Tuttavia, la prova del danno all’immagine non può essere ricondotta solo a una valutazione economica e di mercato: infatti, il danneggiato, al fine di provare il danno, non deve necessariamente indicare la perdita economica subita per ripristinare il proprio status commerciale; bensì, la prova del danno può essere fornita anche attraverso delle presunzioni, ossia indicando circostanze di fatto dalle quali si possa ragionevolmente presumere che si sia verificato un danno all’immagine.
È, invece, la quantificazione del risarcimento ad essere ancorata a parametri monetari: il giudice, infatti, individua un parametro monetario ricollegato agli interessi lesi (ad esempio, i costi affrontati per il ripristino dell’immagine aziendale) e li adegua a seconda delle caratteristiche del caso concreto.
La Cassazione rimette dunque la causa al giudice di secondo grado, evidenziando l’importanza, per le aziende, della protezione della propria immagine. È essenziale, da un lato, tutelare la propria reputazione in via preventiva sia attraverso politiche aziendali interne volte a prevenire comportamenti illeciti, sia attraverso una gestione tempestiva e strategica della comunicazione in caso di crisi; dall’altro lato, è molto utile valutare accuratamente eventuali impatti negativi sull’immagine per facilitare eventuali richieste di risarcimento.