Inattività forzata, il danno è risarcibile

Il datore di lavoro è soggetto a obblighi molto ampi e stringenti in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Infatti, l’art. 2087 del codice civile impone all’imprenditore di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore.

Ciò significa che il datore non solo è tenuto a rispettare gli obblighi di prevenzione, valutazione dei rischi, formazione e protezione previsti dal Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.lgs. 81/2008), ma deve anche adottare quelle misure che, pur non essendo specificamente previste dalla normativa, sono idonee a mantenere l’ambiente di lavoro in condizioni ottimali.

In caso di violazione degli obblighi in materia di salute e sicurezza, il datore di lavoro incorre in responsabilità contrattuale: ciò comporta che il lavoratore, per ottenere il risarcimento del danno, non dovrà fornire prova della violazione da parte dell’imprenditore, bensì sarà quest’ultimo a dover provare di aver adottato tutte le misure utili a proteggere il lavoratore.

Il concetto di salute, inoltre, viene ormai interpretato non come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale (Cass. 7 giugno 2024, n. 15957); il che consente, tra l’altro, di riconoscere al lavoratore il risarcimento dei danni subiti in caso di ambiente lavorativo stressogeno.

Da ultimo la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22161 del 06/08/2024, si è pronunciata in relazione alla tematica della privazione di mansioni; una circostanza che, alla pari dell’adibizione a mansioni usuranti, può causare danni risarcibili.

Il caso oggetto di giudizio da parte della Cassazione riguardava una dipendente comunale costretta ad una forzata inattività e ad un isolamento lavorativo per un periodo di circa due anni. Tale circostanza aveva causato alla lavoratrice un disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti e, per tale ragione, la dipendente pretendeva il risarcimento dei danni.  

La Cassazione conferma che la privazione di mansioni costituisce un comportamento contrario agli obblighi in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, essendo irrilevante l’eventuale intento persecutorio; ciò in quanto il datore è tenuto ad organizzare il lavoro in maniera tale da evitare ripercussioni negative sui lavoratori impiegati e in modo da proteggere il lavoratore da tutti i rischi, compresi quelli collegati allo stress lavorativo.

La Corte precisa altresì, richiamando un suo precedente, che il datore di lavoro è da ritenersi responsabile non solo in relazione alle condotte che hanno dato innesco a uno stato patologico, ma anche a quelle successive che operano come fattore di aggravamento o accelerazione della malattia.

La Cassazione dà così importanti indicazioni agli imprenditori circa le modalità di organizzazione da adottare: ossia, conciliare carico di lavoro e personale a disposizione; in questo modo, il datore potrà valorizzare adeguatamente il personale ed evitare conseguenze risarcitorie.

Foto di George Milton da Pexels