La tutela della riservatezza nelle comunicazioni condominiali

+39 06 323 2914

Un avvocato, avente il proprio studio legale all’interno di un condominio, aveva citato in giudizio il condominio stesso e l’amministratore; il legale in questione sosteneva infatti che la sua reputazione fosse stata lesa dall’affissione sulla bacheca condominiale, esposta alla vista di terzi estranei, della convocazione di un’assemblea e del relativo ordine del giorno, concernente la richiesta di conciliazione avanzata dall’interessato e riguardante un decreto ingiuntivo da lui ricevuto.

In più, l’addetta alle pulizie aveva consegnato ai condomini un documento, aperto e liberamente leggibile, che chiariva la motivazione della convocazione assembleare.

Il diritto degli altri condomini a conoscere e ad essere informati circa le vicende del condominio si scontrava dunque con il diritto dell’attore a non veder violata la propria riservatezza.

Al tempo del fatto, la normativa applicabile in materia di trattamento dei dati personali era costituita dal D.Lgs. 196/2003 (Codice della Privacy). L’art. 15 del Codice – abrogato nel 2018 a opera del D.Lgs. n. 101 – prevedeva, in caso di illecito trattamento dei dati personali, il diritto del danneggiato al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del Codice civile; in questo modo, il Codice della Privacy faceva sì che la responsabilità per illecito trattamento dei dati personali si traducesse in responsabilità per esercizio di attività pericolose: “Chiunque cagiona un danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno” (art. 2050 c.c.).

Tra i danni risarcibili ai sensi dell’art. 15 del Codice della Privacy si annoveravano anche quelli non patrimoniali, incluse le lesioni della reputazione.

Il Tribunale di Bari aveva però respinto la pretesa dell’interessato, in quanto egli non aveva fornito prova del danno subito e del nesso di causalità tra il danno e la diffusione dei dati. In particolare, il giudice di primo grado aveva ritenuto che il danno lamentato non fosse serio, e che non fosse stato dimostrato il fatto che terzi erano venuti effettivamente a conoscenza delle informazioni concernenti l’interessato.

Infine, il Tribunale, nel bilanciare le prerogative dei condomini con quelle del lamentante, aveva ritenuto che l’affissione della comunicazione sulla bacheca condominiale non fosse eccessiva rispetto al suo fine (quello di informare gli altri condomini).

La Corte di Cassazione, in merito al bilanciamento dei diritti, ripercorre la propria giurisprudenza, ribadendo che l’affissione della comunicazione nell’androne condominiale certamente ha uno scopo legittimo, quale quello di rendere edotti i condomini circa ciò che avviene nel condominio, con particolare riferimento a posizioni debitorie degli atri inquilini. Tuttavia, il mezzo deve essere proporzionato allo scopo, in quanto il trattamento dei dati personali deve avvenire “nell’osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti”.

Conclude la Corte evidenziando come la potenziale comunicazione di dati personali a terzi estranei alla cerchia dei condomini, i quali erano stati, peraltro, informati in via individuale persino prima dell’affissione sulla bacheca condominiale, risulti eccessiva rispetto al fine.

In merito alla mancata prova della lesione, la Suprema Corte rimarca come, in tema di danno non patrimoniale, data la natura immateriale di un pregiudizio quale quello, ad esempio, che colpisce la reputazione, si ricorra normalmente alla prova presuntiva; per quanto riguarda, invece, la quantificazione del danno in questione, vista l’impossibilità di procedere a una quantificazione precisa e univoca, si procede normalmente a una liquidazione per equità sulla base del tipo di diritto leso.

Era dunque sufficiente la semplice allegazione – non richiedendosi la prova rigorosa – del danno alla reputazione subito; essendo l’interessato un avvocato, è infatti intuitivo che i potenziali clienti avrebbero potuto leggere il contenuto della convocazione.

È pur tuttavia necessario che il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, sancito dalla Costituzione agli artt. 2 e 21 e dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, deve essere messo in rapporto con il principio di solidarietà ex art. 2 della Costituzione, che impone la tolleranza della lesione minima. Tuttavia, il Tribunale, a detta della Cassazione, non aveva motivato in merito alla non gravità del danno. In conclusione, la Suprema Corte cassa e rinvia la causa al Tribunale per un nuovo esame, imponendogli di attenersi ai principi esposti.

Foto di Markus Winkler