L’assenza per infortunio sul lavoro può impedire il licenziamento

Il contemperamento tra la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore e la tutela delle condizioni di salute del lavoratore fa sì che, ai sensi della legge e della contrattazione collettiva, il lavoratore abbia diritto alla conservazione del posto, in caso di malattia o infortunio, solo per un determinato lasso di tempo (così detto “periodo di comporto”).

Ciò a meno che non si tratti di infortunio o malattia occorsa sul posto di lavoro: in tal caso, a determinate condizioni, il periodo di comporto non decorrerà per via dell’assenza dovuta all’infortunio o alla malattia. Le condizioni necessarie affinché ciò accada sono state di recente puntualizzate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 11136 del 27/04/2023.

Il caso riguardava una lavoratrice, addetta alla mensa nell’ambito del servizio di ristorazione appaltato alla società datrice di lavoro; la dipendente aveva subito un infortunio a seguito dell’esplosione di una vetrinetta termica e, a seguito del superamento del periodo di comporto, era stata licenziata.

Impugnando il licenziamento, la lavoratrice sosteneva che l’infortunio occorsole fosse ascrivibile a responsabilità del datore di lavoro, il quale, a detta della dipendente, non aveva dimostrato di aver adottato tutte le misure di sicurezza necessarie, né aveva dimostrato che l’incidente era avvenuto per un caso fortuito; di conseguenza, la dipendente affermava che le assenze non fossero computabili nel periodo di comporto.

La Cassazione smentisce tale ricostruzione. A detta della Corte, infatti, le assenze per malattia o infortunio, in linea di principio, contribuiscono al trascorrere del periodo di comporto, salvo che non sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 del codice civile: tale norma impone all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori, per cui egli risponderà dell’infortunio o della malattia qualora abbia violato determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze tecniche o sperimentali del momento. Non rileva, dunque, il semplice fatto che l’infortunio sia occorso sul luogo di lavoro.

Inoltre, spetterà al lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno subito, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso tra l’uno e l’altro; egli non dovrà, però, indicare anche le specifiche disposizioni in tema di sicurezza violate dal datore di lavoro, in quanto sarà quest’ultimo a dover provare di aver adottato tutte le opportune cautele.

In particolare, la Corte di Cassazione aveva già in passato affermato che, qualora il danno al lavoratore sia stato causato da cose che il datore di lavoro aveva ricevuto e poi consegnato al lavoratore per l’utilizzo, sussisterà in capo all’imprenditore una presunzione di colpa, che egli potrà superare solo dimostrando di aver adottato le misure antinfortunistiche dovute o provando che il danno fosse imprevedibile ed inevitabile.

Nel caso oggetto della sentenza, lo scoppio della vetrinetta termica era da considerarsi evento imprevedibile, in quanto la società committente aveva attestato, al momento della stipula dell’appalto, che le attrezzature consegnate, tra cui la vetrinetta, erano in buono stato e conformi alla normativa; conseguentemente, l’assenza della lavoratrice era da considerarsi computabile nel periodo di comporto, rendendo legittimo il licenziamento.

Foto di Andrea Piacquadio