Non è esente da sanzioni il dipendente che si auto-denunci

Al fine di stimolare l’emersione dell’illecito commesso nell’ambiente di lavoro, il D.Lgs. 165 del 2001, con l’art. 54-bis, predispone una particolare tutela per il dipendente pubblico che segnali o denunci comportamenti contrari alla legge (così detto “whistleblowing”): egli non potrà essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre misure aventi effetti negativi sulle sue condizioni di lavoro. In caso di adozione di tali misure da parte del datore di lavoro, egli dovrà dimostrare che le stesse sono motivate da ragioni estranee alla denuncia, e dunque che non si qualificano come misure discriminatorie o ritorsive; in assenza di prove in tal senso, la misura adottata sarà nulla (dunque, nel caso in cui il lavoratore sia stato licenziato, egli verrà reintegrato nel posto di lavoro).

La disposizione sul whistleblowing prevede un’eccezione: nel caso in cui la segnalazione o la denuncia da parte del lavoratore costituisca calunnia, diffamazione o altro reato o illecito civile commesso con dolo o colpa grave, il denunciante non verrà tutelato. Sulla base del fatto che questa è l’unica eccezione espressamente prevista dalla norma, una lavoratrice, infermiera presso un’azienda ospedaliera, si era rivolta alla Cassazione sostenendo che la normativa sul whistleblowing tutelasse il lavoratore denunciante anche rispetto alle conseguenze negative di un proprio comportamento illecito: l’infermiera in questione era stata sospesa per quattro mesi per aver svolto attività non autorizzata presso un ente privato, ed aveva denunciato al datore di lavoro la commissione dello stesso fatto da parte di altri colleghi.

Con ordinanza n. 9148 del 31/03/2023, la Corte di Cassazione, anche sulla scorta di quanto affermato nella Convenzione ONU contro la corruzione e nella Direttiva UE 2019/1937, smentisce quanto affermato dalla lavoratrice, precisando lo scopo della normativa sul whistleblowing: tutelare il lavoratore che denunci illeciti commessi nel proprio ambiente di lavoro rispetto ad eventuali ritorsioni da parte del datore; ossia, le conseguenze negative dalle quali il lavoratore viene schermato sono quelle derivanti dalla denuncia o dalla segnalazione, non anche quelle derivanti dal proprio comportamento illecito.

Tutt’al più, l’atteggiamento collaborativo del lavoratore potrebbe essere preso in considerazione dal datore nell’ottica di una riduzione della sanzione, ma la normativa sul whistleblowing non prevede un’esimente automatica con riferimento alla commissione in proprio di un illecito da parte del lavoratore denunciante.

Foto di cottonbro studio