La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25442 del 23 settembre 2024, ha ribadito un importante principio riguardante il risarcimento del danno da perdita di chance. Il caso affrontato concerneva la selezione per un incarico dirigenziale all’interno della Regione Lazio, nella quale il lavoratore ricorrente non era stato scelto per il ruolo. Egli ha sostenuto che la selezione fosse illegittima e, pertanto, ha chiesto il risarcimento per la perdita della possibilità di ottenere l’incarico. Il ricorso ha sollevato la questione centrale dell’onere della prova in casi di perdita di chance.
Il lavoratore, partecipante a più selezioni per incarichi dirigenziali all’interno della Regione Lazio, ha impugnato la decisione dell’ente di assegnare l’incarico a un altro candidato. In particolare, ha sostenuto che l’iter selettivo fosse viziato dalla mancanza di una reale comparazione tra i candidati, e che fosse stato basato su formule di stile prive di sostanza. Di conseguenza, il lavoratore ha chiesto il risarcimento per la perdita di chance, ossia per l’occasione mancata di essere scelto, calcolando che la sua probabilità di successo fosse pari a quella degli altri partecipanti, in mancanza di prove contrarie da parte dell’amministrazione.
La Corte d’Appello di Roma aveva accolto parzialmente la richiesta del lavoratore, riconoscendo un risarcimento basato sulla probabilità che egli fosse selezionato. Tale probabilità era stata calcolata dividendo il numero dei candidati (13 nel primo concorso e 14 nel secondo) per le possibilità di successo, applicando un criterio meramente aritmetico. Tuttavia, la Regione Lazio ha impugnato la sentenza, contestando sia il metodo di calcolo che l’assenza di un nesso causale certo tra l’illegittimità del procedimento e il danno subito.
Più nello specifico, la perdita di chance è un danno patrimoniale che si verifica quando un soggetto perde la possibilità di ottenere un vantaggio a causa di un comportamento illegittimo altrui. Tuttavia, non si tratta di un danno certo, bensì di una possibilità, e per questo motivo la sua quantificazione e dimostrazione risultano complesse.
La Corte ha chiarito che l’onere della prova della perdita di chance grava sul lavoratore che richiede il risarcimento. In particolare, il lavoratore deve dimostrare che, in assenza del comportamento illegittimo (nel caso di specie, una selezione irregolare), avrebbe avuto una “concreta e non meramente ipotetica” possibilità di successo. Solo a seguito di tale dimostrazione si può procedere alla quantificazione equitativa del danno.
Un aspetto chiave della decisione della Suprema Corte è il richiamo alla giurisprudenza consolidata, secondo cui il nesso di causalità tra l’azione illegittima e la perdita di chance deve essere dimostrato in termini di “elevata probabilità, prossima alla certezza“. In altre parole, non basta dimostrare che il lavoratore avesse una possibilità teorica di essere selezionato: è necessario provare che esistesse una forte probabilità che, senza l’illecito, egli avrebbe ottenuto il beneficio.
Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello di Roma non aveva tenuto conto di questo principio, poiché si era limitata a calcolare il risarcimento su base aritmetica, assumendo che tutti i candidati avessero le stesse possibilità di successo. Invece, per la Cassazione, il danno da perdita di chance non può essere liquidato in modo così semplificato: occorre una valutazione più approfondita che consideri elementi concreti come la maggiore o minore qualificazione dei candidati rispetto al ricorrente.
Di conseguenza, i giudici della Suprema Corte hanno cassato la sentenza della Corte d’Appello di Roma, affermando che non era stata correttamente valutata la sussistenza del nesso di causalità. In particolare, hanno evidenziato che il danno da perdita di chance deve essere provato dimostrando non solo che vi sia stata un’azione illegittima, ma anche che questa abbia effettivamente privato il lavoratore di un’elevata probabilità di successo. La probabilità generica, distribuita uniformemente tra i candidati, non è sufficiente per giustificare il risarcimento.
In conclusione, è necessario che i lavoratori siano consapevoli del fatto che l’onere della prova è a loro carico, e che non è sufficiente dimostrare che il procedimento selettivo sia stato viziato: devono altresì fornire prove concrete della probabilità di ottenere il beneficio. Allo stesso modo, le amministrazioni pubbliche devono essere preparate a dimostrare che le loro scelte siano state effettuate in modo trasparente e giustificato.