Anche in assenza di procedimento disciplinare il datore può chiedere il risarcimento del danno

Per negligenza si intende la colpa di non aver compiuto un’azione che si sarebbe dovuta compiere, a causa di mancanza di impegno o di attenzione, di disinteressamento nel compimento dei propri doveri o delle mansioni assegnate.

Da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 27940 del 04.10.2023 è emerso che il datore, in caso di danno causato dalla negligenza di un lavoratore, può chiedere allo stesso il relativo risarcimento, pur senza aver avviato per tali fatti un’azione disciplinare.

Nel caso oggetto di ordinanza, una banca datrice ricorreva giudizialmente contro un suo dipendente al fine di chiedere il pagamento della somma di € 117.228,50, a titolo di risarcimento del danno, in quanto il lavoratore – direttore di filiale – aveva omesso di custodire alcuni documenti consacranti il contratto di prestito accordato ad una società e la fideiussione prestata. In ragione di ciò, è stato impedito alla banca di insinuarsi al passivo fallimentare della società cliente, rimasta inadempiente rispetto alla restituzione dello stesso.

La Corte d’Appello ha accolto la predetta domanda, ritenendo sussistente la responsabilità del lavoratore, pur in assenza di una azione disciplinare promossa dalla banca.

Il lavoratore ha proposto ricorso insistendo sul motivo per il quale alla iniziale contestazione non era seguito nei suoi confronti alcun provvedimento disciplinare.

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – ha rilevato, preliminarmente, che le due differenti azioni, disciplinare e di risarcimento del danno, si pongono su piani distinti, indipendenti l’uno dall’altro.

Difatti, secondo i Giudici di legittimità, “la violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte di un dipendente comporta, oltre all’applicabilità di sanzioni disciplinari, anche l’insorgere del diritto al risarcimento dei danni e ciò tanto più nel caso in cui il medesimo, quale dirigente di un istituto di credito in rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un “alter ego”, occupi una posizione di particolare responsabilità, collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale e svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda (Cass.n. 394/2009; Cass.n. 8702/2000; Cass. n. 2097/18)”.

Per i giudici della Suprema Corte, quindi, l’esistenza di fatti accertati, anche se non censurati sotto il profilo disciplinare, può comunque determinare il diritto al risarcimento del danno provocato, poiché l’interesse perseguito dal datore è costituito dal ripristino della situazione patrimoniale evidentemente lesa.

Basandosi su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore, condannandolo al pagamento della somma richiesta a titolo di risarcimento del danno.

Foto di Andrea Piacquadio