SiCUREZZA SUL POSTO DI LAVORO, AFFIDAMENTO A CONSULENTE ESTERNO ESCLUDE ELEMENTO SOGGETTIVO DELL’ILLECITO

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Come noto, ai sensi dell’art. 2087 c.c., sull’imprenditore grava l’obbligo di predisporre le misure di sicurezza necessarie al fine di tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore; l’omissione di tale condotta ben può produrre conseguenze particolarmente rilevanti: la sentenza in commento – Corte di Cassazione, Sezione 4 Penale, n. 22628 del 2022 – riguarda un lavoratore cui erano state cagionate lesioni gravi a causa della mancata predisposizione di adeguati dispostitivi di protezione.

L’art. 590, comma 3, c.p. presenta infatti un rilevante collegamento con l’art. 2087 c.c., nella misura in cui sanziona con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da euro 500 a euro 2.000 chiunque cagioni lesioni gravi mediante la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro; è prevista poi la pena della reclusione da uno a tre anni se a essere cagionate sono lesioni gravissime.

Nel caso di specie rilevava altresì l’art. 18, comma 1, del d.lgs. 81/2008: “Il  datore  di  lavoro,  che esercita  le  attività  di   cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono  le  stesse attività secondo le attribuzioni e  competenze  ad  essi  conferite, devono: (…) fornire ai lavoratori i  necessari  e idonei  dispositivi  di protezione individuale,  sentito  il  responsabile  del  servizio  di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente (…)”; l’imputato – datore di lavoro, infatti, non aveva predisposto i dispositivi di protezione dal rischio di tagli: nello specifico, i guanti adatti.

Come riconosciuto dalla Suprema Corte, l’evento lesivo è stato il prodotto della concretizzazione del rischio derivante dalla mancata osservanza della regola cautelare di cui al citato art. 18, comma 1, lettera d), d.lgs. 81/2008: era dunque riconoscibile un nesso causale tra il comportamento colposo dell’imprenditore e l’evento dannoso, ossia le conseguenze lesive per il lavoratore.

Il motivo di ricorso, accolto dalla Suprema Corte, verteva però esclusivamente sull’elemento soggettivo: l’imputato sosteneva che la Corte di Appello di Torino l’avesse condannato senza tenere in considerazione le possibilità del datore di lavoro di adeguarsi alla regola cautelare.

Infatti, il datore di lavoro aveva richiesto, a suo tempo, un’attività di consulenza da parte di una società specializzata in materia di sicurezza sul posto di lavoro: secondo la prospettazione del ricorrente, condivisa dalla Suprema Corte, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto prendere in considerazione tale circostanza al fine di valutare l’esigibilità del comportamento di cui all’art. 18 d.lgs. 81/2008, ossia allo scopo di soppesare le qualità personali dell’agente per sincerarne la capacità di allinearsi agli obblighi di legge.

L’imputato era certamente da considerarsi, in virtù della sua posizione, garante delle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro, poiché già il giudice di secondo grado aveva appurato che la consulenza attuata non costituiva un trasferimento delle funzioni in materia di infortuni sul lavoro. Allo stesso tempo, tuttavia, il fatto che l’imprenditore avesse richiesto una consulenza di tal fatta, rendeva concreta la possibilità che egli non fosse a conoscenza degli specifici dispositivi di protezione che avrebbe dovuto predisporre, specie nel caso in cui la scelta degli stessi fosse particolarmente complessa.

La Corte di Appello di Torino non aveva dunque preso sufficientemente in considerazione l’elemento soggettivo della fattispecie, determinando un’ipotesi di responsabilità oggettiva.

Per tale motivo, la sentenza di secondo grado è stata annullata dalla Suprema Corte con rinvio per altro giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino.

Foto di Andrea Piacquadio