Il SI della Cassazione alla legittimità del licenziamento disciplinare avvenuto in seguito ad un diverbio con un superiore
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa, con la pronuncia 13411/2020, in merito ad un caso di specie del tutto peculiare.
La fattispecie riguarda un dipendente sanzionato con il licenziamento disciplinare in seguito ad una minaccia rivolta alla responsabile dell’amministrazione, che gli aveva intimato più volte di uscire dal suo ufficio. Il dipendente aveva subito, in passato, diversi ammonimenti conseguenti ad ulteriori ipotesi di insubordinazione. In sede di giudizio, il lavoratore aveva asserito che la condotta non fosse punibile in quanto concretizzatasi al termine della giornata lavorativa.
L’insubordinazione, secondo i giudici della Suprema Corte, è configurabile ogni qual volta vi sia una superiorità gerarchica sia pure non in esecuzione di una prestazione lavorativa. Ciò implica che, la stessa non si configuri solo quando sussista il rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite da un superiore ma, anche quando vi sia qualsiasi altro comportamento volto a compromettere la corretta esecuzione delle suddette disposizioni aziendali.
La stessa insubordinazione è prevista dall’articolo 2104, 2° comma c.c. e rientra, altresì, nelle violazioni dei doveri e degli obblighi di diligenza e fedeltà su cui si fonda il vincolo fiduciario tra il lavoratore e il datore di lavoro, imposti a norma oltre che dello stesso art. 2104, anche dell’art. 2105 c.c. La Corte ha, pertanto, ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato al dipendente in quanto configurabile come “grave infrazione alla disciplina sul luogo di lavoro”, anche in virtù del fatto che la minaccia verbale alla collega era stata accompagnata da un evidente atteggiamento intimidatorio. Tali elementi sono stati considerati, dunque, come parametri di valutazione della gravità dell’illecito. Invero, il fatto che il prestatore di lavoro avesse asserito che la condotta era avvenuta a conclusione della giornata lavorativa non è elemento sufficiente ad escludere il rapporto gerarchico, in quanto anche le condotte eventualmente “extralavorative” possono essere oggetto di licenziamento, a maggior ragione se commesse in locali aziendali e ai danni di una persona che, nel caso in questione, era in veste di responsabile amministrativo.
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