E’ RESPONSABILE IL MEDICO DI GUARDIA CHE SI LIMITI AD INDICARE AL PAZIENTE ESAMI DIAGNOSTICI SENZA ADOTTARE APPOSITA MISURA DI CAUTELA

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La Corte di Cassazione con sentenza n. 19372/2021 ha stabilito che il medico di guardia non può limitarsi ad indicare di effettuare esami diagnostici ma, deve procedere ad effettuare ulteriori approfondimenti sulla natura dei sintomi, indirizzando il paziente verso una struttura apposita.

Nel caso di specie, un soggetto recatosi dal medico di guardia a causa di persistenti dolori al torace, veniva dimesso con mera indicazione di effettuare esami diagnostici nell’ipotesi in cui tali sintomi non avessero accennato a cessare, senza svolgere una compiuta diagnosi sulla base di ulteriori accertamenti, qualificando i detti sintomi come “dolori da stress”. In seguito al decesso del paziente, la moglie conveniva in giudizio il medico di guardia e l’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta.

Il Tribunale di Caltanissetta, acquisite le prove e disposta una consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, rigettava la domanda attorea.

Adita la Corte di Appello ed espletata nuova c.t.u. medico-legale collegiale, in riforma della sentenza di primo grado, il giudice condannava il medico e l’Azienda Sanitaria Provinciale a risarcire in solido la moglie e i due figli.

La Corte territoriale, in forza della consulenza medico-legale ravvisava nella condotta negligente attuata in occasione della visita, una responsabilità del medico non “per errata diagnosi a quel momento di disseccazione aortica”, ma per “la mancata prosecuzione dell’iter diagnostico di fronte ad una sintomatologia dolorosa toracica persistente che necessitava di un approfondimento clinico-strumentale al fine di pervenire all’accertamento della natura del dolore”. Peraltro, i sintomi erano stati qualificati come dolori da stress, che secondo l’I.A.S.P. (“International Association for the Study of Pain”), è l’ultima causa in una scala da 1 a 10 dei dolori toracici, pertanto, risultava insolito qualificarli come tali senza procedere ad ulteriori accertamenti. In tali circostanze, l’invio del paziente presso una struttura apposita, avrebbe consentito una diagnosi tempestiva e dunque, buone probabilità di sopravvivenza.

Il giudice di secondo grado, inoltre, aveva preferito la c.t.u. espletata nel corso dello stesso giudizio rispetto a quella effettuata in primo grado, classificandola come maggiormente autorevole in quanto disposta da un collegio di medici composto, tra gli altri, da uno specialista cardiologo. La Corte statuiva il risarcimento del danno emergente e da lucro cessante, nonché del danno parentale. Tuttavia, non riteneva sussistente né il danno biologico nè il danno iure hereditatis.

Avverso la sentenza di secondo grado, il medico di guardia ha proposto ricorso in Cassazione cui ha aderito con controricorso la compagnia di assicurazioni che ha svolto, altresì, ricorso incidentale. Resistente con controricorso la moglie del de cuius, anche con ricorso incidentale.

La Cassazione, nel confermare quanto stabilito dai giudici di secondo grado, ha ribadito che il sanitario avrebbe dovuto eseguire una diagnosi completa circa la natura del dolore toracico e quindi, avviarlo presso una struttura apposita per un adeguato approfondimento diagnostico. Peraltro, secondo la Suprema Corte “non risponde il medico di guardia medica della morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, allorchè non risulti verificato l’inadempimento del sanitario nella forma di condotta omissiva ovvero nella forma di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa e, dunque, dove l’evento di danno non si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, con la condotta del sanitario stesso”. Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto sussistere una condotta inadempiente del medico in relazione all’evento di danno, mentre non ha ritenuto configurarsi un’autoresponsabilità del paziente. Questo in quanto la prescrizione medica si era risolta in una mera indicazione di effettuare esami diagnostici in caso di persistenza del dolore senza che il medico avesse adottato una misura di cautela, prescrivendo gli esami e indirizzando il paziente in apposita struttura.

La Suprema Corte ha osservato che, con un giudizio controfattuale la Corte territoriale, analizzando complessivamente le risultanze probatorie acquisite e basandosi sul criterio del “più probabile che non”, aveva correttamente qualificato  la condotta del medico come lesiva, ove, si consideri che “un sanitario dovrebbe sempre prendere in considerazione l’ipotesi che un dolore toracico sottenda un problema cardio-vascolare”.

Quanto all’espletamento nel corso del giudizio di più consulenze tecniche, la Suprema Corte ha precisato che il giudice può seguire il parere che ritiene più adeguato oppure discostarsene dando adeguata giustificazione del suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie.

La Suprema Corte, nel confermare la pronuncia di secondo grado, ha disposto il rigetto di tutti i ricorsi.

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