La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 34073 del 18/11/2022, ribadisce l’orientamento secondo cui, in caso di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare avente ad oggetto la vendita di un immobile, deve essere risarcito il danno derivante dall’impossibilità, per il promittente venditore, di vendere l’immobile durante la vigenza del medesimo contratto.
A tale conclusione erano già giunti sia il Tribunale che la Corte d’Appello pronunciatisi nel caso di specie: infatti, il promittente venditore, a seguito della mancata stipula del contratto definitivo, aveva inviato alla controparte diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c.; per cui, il Tribunale aveva dichiarato l’avvenuta risoluzione del contratto ai sensi della medesima norma, ed aveva sancito che dovesse essere risarcito il pregiudizio alla commerciabilità del bene, da quantificare secondo il criterio del deprezzamento, ossia ricavando la differenza tra il prezzo pattuito dalle parti con il preliminare e il valore del bene, stimato dal consulente tecnico d’ufficio, al tempo del giudizio.
La Cassazione precisa ulteriormente che tale danno è in re ipsa, ossia non necessita di prova.
Tuttavia, la Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso avanzato dal promissario acquirente avente ad oggetto il giorno di riferimento per il calcolo del deprezzamento dell’immobile. Infatti, il Tribunale aveva preso in considerazione, al fine di valutare la riduzione di commerciabilità del bene, il valore dell’immobile alla data di effettuazione della stima da parte del consulente tecnico d’ufficio, avvenuta tempo dopo la proposizione della domanda di risoluzione da parte del promittente venditore.
La Cassazione, invece, rinviando la causa alla Corte d’Appello, afferma che il deprezzamento dell’immobile consiste nella differenza tra il prezzo concordato dalle parti all’interno del preliminare e il valore dell’immobile stimato alla data di proposizione della domanda di risoluzione, poiché questo è il momento nel quale l’inadempimento è divenuto definitivo.
La Cassazione si pronuncia ulteriormente sulla ipotetica possibilità, per il promittente venditore, di locare l’immobile durante la vigenza del contratto preliminare: il promissario acquirente sosteneva, infatti, che il reddito da locazione avrebbe potuto compensare il danno patito dal proprietario.
La Cassazione precisa che, affinché operi la compensatio lucri cum damno, è necessario, in primo luogo, che il beneficio limitante il danno si sia effettivamente prodotto e che non sia meramente potenziale. In secondo luogo, il beneficio che va a compensare il danno deve rientrare nella serie causale dell’illecito, ossia non deve essere frutto di una scelta autonoma da parte del danneggiato o effetto di un evento che si sarebbe prodotto a prescindere dal momento in cui si è verificato l’illecito; in definitiva, nel caso di specie viene esclusa la compensazione, e dunque la limitazione del danno da risarcire in capo al promittente venditore, anche perché la scelta di locare l’immobile sarebbe stata frutto della libera volontà del danneggiato, e non sarebbe scaturito dall’inadempimento da parte del promissario acquirente. Inoltre, non vale a ridurre il danno subito dal promittente venditore neppure il fatto che egli, in conseguenza della mancata stipula del contratto definitivo, abbia potuto continuare a godere dell’immobile. Si tratta, infatti, anzitutto di un vantaggio che l’inadempimento del promissario acquirente ha procurato alla controparte in via meramente accidentale; in secondo luogo, la prosecuzione della possibilità, in capo al promittente venditore, di godere dell’immobile, non costituisce un vero e proprio vantaggio, bensì è semplicemente effetto della persistenza del diritto di proprietà.
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