Le disposizioni di cui al Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. n. 198/2006) hanno l’obiettivo di eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, e conseguentemente assicurare la parità di trattamento in tutti i campi, compreso quello dell’occupazione.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 3361 del 3 febbraio 2023, ha affrontato il caso di una lavoratrice alla quale era stato disdetto il contratto di apprendistato e che, dunque, non era stata assunta a tempo indeterminato. A detta della lavoratrice, motivo della disdetta era il fatto che, durante il periodo di apprendistato, la stessa aveva portato a termine due gravidanze.
La Cassazione rammenta che il lavoratore o la lavoratrice vittima di discriminazione non sono tenuti a provare l’avvenuta disparità di trattamento, bensì è sufficiente che forniscano elementi precisi e concordanti che possano far presumere l’esistenza del comportamento discriminatorio; tali elementi possono consistere anche in dati statistici riferiti alle assunzioni complessivamente avvenute nell’azienda. A quel punto sarà onere del datore di lavoro dimostrare inequivocabilmente l’insussistenza della discriminazione.
La lavoratrice aveva infatti riferito che tutti i lavoratori impegnati nello stesso apprendistato professionalizzante erano stati assunti, tranne lei. La Corte d’appello, nel giudizio di secondo grado, aveva tuttavia ritenuto che gli elementi forniti dalla lavoratrice non fossero utili a far presumere la sussistenza di un comportamento discriminatorio da parte del datore di lavoro. In particolare, il giudice di secondo grado aveva sostenuto che la disdetta dell’apprendistato è un atto di per sé neutro, che dunque non potrebbe suggerire una disparità di trattamento.
La Cassazione non è dello stesso avviso, e richiama il fatto che una discriminazione può compiersi anche attraverso atti non espressamente discriminatori, che quindi devono essere messi in relazione con altri elementi di fatto al fine di verificare se ci sia stata effettivamente una disparità di trattamento. Infatti, il Codice delle pari opportunità non colpisce solamente la discriminazione diretta, ossia l’atto che produca direttamente e platealmente effetti discriminatori, ma anche la discriminazione indiretta, ossia l’atto a prima vista non produttivo di effetti discriminatori ma che nella sostanza ponga il lavoratore o la lavoratrice in posizione di svantaggio rispetto a colleghi dell’altro sesso.
In definitiva, la Corte di Cassazione rinvia la questione alla Corte d’Appello poiché non aveva analizzato adeguatamente e complessivamente la faccenda.
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