Infortunio sul lavoro, la transazione non copre i danni imprevedibili successivi

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La legge limita notevolmente la possibilità del lavoratore di effettuare transazioni riguardanti i così detti diritti indisponibili, ossia i diritti collegati a valori costituzionali e imposti dalla legge o dai contratti collettivi (ad esempio, la retribuzione); infatti, in un’ottica di tutela del lavoratore in quanto parte debole del rapporto di lavoro, le rinunce o transazioni aventi ad oggetto tali diritti sono invalide, a meno che non siano effettuate in una “sede protetta” (ad esempio, nell’ambito di una conciliazione avvenuta in sede sindacale).

Ai sensi dell’art. 1966 del Codice civile, la transazione potrà avere ad oggetto, in ogni caso, solo i diritti che si trovano nella materiale disponibilità del lavoratore, ossia i diritti dei quali quest’ultimo può, al momento della stipula dell’accordo, ottenere il soddisfacimento.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25603 del 01/09/2023, conferma quanto disposto dalla normativa giudicando un caso di infortunio sul lavoro.

Il lavoratore protagonista della vicenda aveva stipulato una transazione con il datore di lavoro circa i danni subiti in conseguenza dell’infortunio, per poi pretendere, dopo qualche tempo, il risarcimento di ulteriori danni ritenuti imprevedibili al tempo della transazione.

La Cassazione conferma che il lavoratore, genericamente, può chiedere il risarcimento di ulteriori danni che non potevano essere previsti al momento dell’accordo, anche qualora quest’ultimo contenga la rinuncia, da parte del lavoratore, ai danni futuri; con la precisazione che è imprevedibile non il danno che non era noto al tempo dell’accordo, ma il danno che non poteva essere previsto come normale sviluppo delle lesioni già presenti.

In particolare, deve sussistere un’oggettiva impossibilità di individuare fattori di aggravamento delle lesioni; in secondo luogo, non deve essersi verificato, successivamente alla transazione, alcun evento che abbia potuto causare l’aggravamento.

Il lavoratore dovrà fornire prova di tutte queste condizioni, dunque sia dell’aggravamento che della sua imprevedibilità. Dato, tuttavia, che sarebbe impossibile per il lavoratore provare un fatto non avvenuto – ossia la non prevedibilità dell’aggravamento – egli potrà tranquillamente dimostrare un fatto positivo contrario – vale a dire un fatto in base al quale si possa desumere che egli non potesse prevedere l’aggravamento del danno al tempo della transazione.

Si tratta, conclude la Cassazione, di principi utili a evitare che l’imprenditore debba sopportare non solo il rischio di ricevere ulteriori richieste di risarcimento danni anche a seguito della transazione, ma anche di dover eventualmente provare l’imprevedibilità dell’aggravamento; prova che risulterebbe difficile da fornire, dato che l’imprenditore nulla potrebbe sapere circa la prevedibilità di un aggravamento occorso al lavoratore.

Nel caso di specie, la Cassazione ha rigettato la richiesta del lavoratore, in quanto non era riuscito a fornire le prove utili a dimostrare l’imprevedibilità degli ulteriori danni richiesti.

Foto di Roger Brown