Responsabilità del datore di lavoro per lesioni colpose

Il tema della responsabilità del datore di lavoro per lesioni colpose è stato recentemente riaffrontato dalla Quarta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23049/2024, depositata il 10 giugno 2024. La decisione offre una nuova interpretazione della posizione di garanzia che il datore di lavoro assume, anche qualora abbia nominato un preposto per vigilare sullo svolgimento dell’attività produttiva.

Il caso in questione ha visto la Corte di Appello riformare integralmente una sentenza di primo grado che aveva dichiarato la responsabilità penale del datore di lavoro per le gravi lesioni subite da un operaio. Quest’ultimo si era ferito agli occhi utilizzando impropriamente la soda caustica. La Corte di Appello aveva assolto il datore di lavoro, rinviato a giudizio per lesioni gravi e permanenti, ritenendo che l’incidente fosse dovuto a un comportamento “eccentrico” o imprevedibile dell’operaio stesso.

Accogliendo il ricorso di legittimità presentato dalla difesa di parte civile, la Suprema Corte ha ribadito due principi giuridici fondamentali riguardanti la sicurezza sul lavoro.

Il primo principio sottolineato dalla Cassazione riguarda l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro. La sentenza afferma chiaramente che il datore di lavoro deve prevenire l’instaurarsi di prassi operative pericolose e contrarie alla legge, anche quando queste sono adottate con il consenso del preposto. L’ignoranza del datore di lavoro rispetto a tali prassi non esime dalla responsabilità, poiché essa stessa costituisce una colpa per omissione di vigilanza.

Questo principio è stato ribadito in precedenti sentenze della Corte di Cassazione, come nel caso Zanetti del 2021 e nel caso Chironna del 2020, evidenziando altresì che la formazione e l’informazione dei lavoratori sono compiti essenziali del datore di lavoro.

Il secondo principio riguarda l’interruzione del nesso di causalità dovuta alla condotta del lavoratore. La Cassazione ha valutato negativamente la definizione fornita dalla Corte di Appello di “condotta (dell’operaio, ndr) eccentrica e imprevedibile”, non avendo considerato la giurisprudenza consolidata.

Sebbene la legislazione moderna consideri l’area di rischio che il datore di lavoro deve valutare, il principio fondamentale resta che non vi può essere esonero di responsabilità per il datore di lavoro all’interno di quest’area di rischio, nemmeno in presenza di comportamenti imprudenti del lavoratore.

La condotta del lavoratore può essere ritenuta abnorme solo se attiva un rischio eccentrico o esorbitante rispetto alla sfera di rischio governata dal datore di lavoro, o se è completamente autonoma e estranea alle mansioni affidate. Nel caso specifico, l’operaio si era infortunato svolgendo una mansione affidatagli, senza attivare un rischio eccentrico ma piuttosto quello tipico della sua sfera lavorativa.

La sentenza in esame dei giudici della Suprema Corte rafforza in questo modo l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro e chiarisce le condizioni secondo le quali può essere interrotto il nesso di causalità tra l’omissione del datore di lavoro e l’evento lesivo, superando l’ancor più recente giurisprudenza che vedeva una responsabilità esclusivamente in capo al preposto in caso di non interruzione dell’attività nonostante i rischi segnalati.

Foto di Nikita Belokhonov