SE ADEGUATAMENTE MOTIVATA, NON È SINDACABILE NEL MERITO LA SCELTA DEL DATORE DI LAVORO DI TRASFERIRE IL DIPENDENTE IN ALTRA SEDE

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La Corte di Cassazione con ordinanza n. 32506 del 08/11/2021 ha stabilito che è legittimo disporre il trasferimento del dipendente in altra sede qualora sussista un nesso di causalità tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive dell’azienda.

Un dipendente della Siemens S.p.a., con mansioni di programmatore di centrali telefoniche, era stato dapprima posto in Cassa Integrazione Straordinaria e successivamente trasferito in altra sede di lavoro. Sul punto, la Corte di Appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto la legittimità del trasferimento, respingendo la domanda di reintegra nell’originaria sede di lavoro e quella relativa al risarcimento dei danni.

I giudici di appello accertavano che le motivazioni poste a fondamento della decisione datoriale erano in linea con la lettera di comunicazione. Peraltro, la decisione si basava sul presupposto che la mansione rivestita dal lavoratore nella nuova sede era equivalente a quella precedente. Inoltre, avendo la società subito un calo del fatturato da cui era derivata la necessità di ridurre il personale nella sede di origine, il trasferimento risultava pienamente giustificato.

Avverso tale pronuncia, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione cui ha resistito la Società con controricorso.

Al riguardo, la Suprema Corte ha ribadito che il controllo giudiziale sul trasferimento di un lavoratore va effettuato, tenendo in considerazione il nesso di causalità sussistente tra il provvedimento adottato dall’azienda e le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive poste alla base dello stesso, a norma dell’art. 2103 c.c. Tuttavia, tale controllo non può estendersi fino a comprendere una valutazione nel merito della scelta del datore di lavoro, in ragione del fatto che ciò trova un preciso limite nel principio di libertà di iniziativa economica espresso dall’art. 41 Cost. La scelta del datore di lavoro, infatti, “non deve necessariamente presentare i caratteri dell’inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo”. Non sussisterebbe inoltre in capo al datore di lavoro neppure l’onere di provare l’impossibilità di utilizzare il lavoratore nella sede originaria.

Inoltre, l’art. 2103 c.c. richiede, quale unico presupposto di legittimità, la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Pertanto, il controllo da eseguire in sede giudiziale deve limitarsi a valutare la sussistenza o meno del nesso di causalità tra la comunicazione di trasferimento e le ragioni a fondamento della scelta datoriale, non potendo il giudice valutare l’idoneità o l’inevitabilità della stessa.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici di seconda istanza abbiano correttamente applicato le norme in materia di trasferimento, giudicato non pretestuoso avuto riguardo alla sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive derivanti dalla perdita di fatturato. È stata inoltre valutata irrilevante la circostanza addotta dal lavoratore in base alla quale presso la sede originaria fosse stato assunto altro dipendente, posto che le mansioni svolte da quest’ultimo afferivano ad una professionalità altamente specializzata e dunque risultavano ben diverse da quelle cui era assegnato il ricorrente.

La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza della Corte di Appello di Napoli, la cui motivazione è stata ritenuta “conforme a diritto e scevra da ogni contraddizione”, ha disposto dunque il rigetto del ricorso con condanna del lavoratore alle spese di giudizio.

Foto di Gustavo Fring da Pexels