La Cassazione esclude la responsabilità di Google per violazione della privacy

L’ordinanza della Cassazione n. 27224 del 15/09/2022 mette fine a una questione di violazione delle norme sulla tutela dei dati personali, in connessione con una vicenda di divorzio, coinvolgente il colosso tech Google.

Google Italy S.r.l. era stata infatti chiamata a giudizio affinché fosse condannata al risarcimento dei danni per violazione delle norme sulla riservatezza e utilizzazione dei dati personali senza il consenso dell’interessata. In particolare, a detta della ricorrente, l’azienda non l’aveva avvertita del fatto che, nella via dove era parcheggiata la sua automobile, si sarebbero svolte le riprese fotografiche ai fini del servizio Google Maps; di conseguenza, la ricorrente non aveva potuto evitare che la sua automobile fosse fotografata e non aveva potuto operare il camuffamento della targa. Tali azioni sarebbero state necessarie data la sua situazione sentimentale: infatti il marito della ricorrente aveva notato il fatto che la moglie avesse insolitamente parcheggiato nella via in questione, e, dopo una serie di indagini e pressioni, la ricorrente dovette rivelare l’esistenza di una relazione sentimentale con un altro uomo.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 10263/2018 aveva respinto il ricorso, sulla base di due argomenti fondamentali: da una parte, Google Italy S.r.l. non era legittimata passivamente, dunque non era il soggetto contro cui avrebbe dovuto rivolgersi la ricorrente, in quanto il servizio Google Maps è gestito dall’azienda madre Google LLC, mentre Google Italy S.r.l. svolge attività assolutamente diversa; nel merito, inoltre, la ricorrente non era stata in grado di dimostrare il nesso di causalità, ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, tra la condotta di Google Italy S.r.l. e la fine del matrimonio della ricorrente; vale a dire, non aveva provato il fatto che il marito della ricorrente avesse consultato Google Maps e che ciò avesse causato le conseguenze dannose.

Mediante ricorso per cassazione, in merito alla legittimazione passiva, la ricorrente aveva in seguito sottolineato il fatto che Google Italy S.r.l. avrebbe potuto considerarsi rappresentante in Italia di Google LLC, ai sensi dell’art. 5, comma 2 del Codice privacy: “In  caso  di applicazione del presente codice, il titolare del trattamento designa un proprio rappresentante stabilito nel  territorio  dello  Stato  ai fini dell’applicazione della  disciplina  sul  trattamento  dei  dati personali”.

Sul punto, la Suprema Corte ritiene generica tale affermazione, specificando che costituiva onere della ricorrente provare tale relazione di rappresentanza, in quanto la legittimazione passiva è elemento costitutivo della domanda, ai sensi dell’art. 2697 del codice civile: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

Con il secondo motivo di ricorso, l’interessata aveva sostenuto che, in difetto di prove riguardanti il nesso di causalità, il Tribunale avrebbe potuto disporre d’ufficio i mezzi di prova ai sensi dell’art. 421 c.p.c.. Tuttavia, la Cassazione risponde affermando che tale possibilità, secondo una costante giurisprudenza della stessa Corte, è ammessa solo qualora il quadro probatorio presenti già degli indizi consistenti; nel caso in questione, invece, vi era un’assenza totale di elementi indiziari.

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