Il contratto di assistenza sanitaria o di spedalità si instaura in una dimensione molto delicata dal punto di vista umano, in quanto, naturalmente, le strutture sanitarie entrano in contatto con i pazienti e le loro famiglie in un momento di particolare fragilità: l’eventuale inadempimento da parte della struttura ospitante – debitrice, specie se avente effetti drammatici, può produrre conseguenze gravi anche nei confronti dei cari del paziente – creditore.
Qualora questi ultimi desiderino ottenere il risarcimento del danno subito, si porrebbe la questione della natura della responsabilità sussistente in capo alla struttura sanitaria nel loro rapporto con il danneggiato; una questione che ha risvolti pratici rilevanti dal punto di vista della prova che l’attore deve offrire.
La distinzione si pone tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale o aquiliana.
Nel primo caso, essendo stato stipulato un contratto, si applica l’art. 1218 c.c., per cui “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”; di conseguenza, come sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria, il creditore è tenuto esclusivamente a provare la fonte del credito – ossia l’esistenza del contratto – la sussistenza del danno nonché il nesso di causalità tra l’inadempimento da parte debitrice e l’anzidetto danno; in tal caso, l’inadempimento di controparte dovrà essere solamente allegato: sarà infatti onere del debitore provare l’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile.
La responsabilità aquiliana richiede invece all’attore di provare tutti gli elementi costitutivi dettati dall’art. 2043 c.c.: il danno ingiusto, il fatto doloso o colposo e il nesso causale tra il danno e il fatto.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11320 del 7 aprile 2022, è tornata a pronunciarsi con riferimento al contratto di spedalità, confermando peraltro l’orientamento seguito dalla Corte d’appello.
Nello specifico, una donna aveva citato in giudizio la Fondazione Ospedaliera presso la quale il marito era stato ricoverato, e dalla quale egli era successivamente fuggito, scomparendo nel nulla: l’attrice sosteneva di aver subito danni patrimoniali e non patrimoniali a causa della violazione dell’obbligo di vigilanza e protezione da parte della struttura ospedaliera.
Il Tribunale aveva rigettato la domanda, e successivamente la Corte di appello aveva confermato la pronuncia in primo grado, sulla scorta del fatto che l’attrice aveva qualificato erroneamente la responsabilità della struttura sanitaria: questa era da considerarsi extracontrattuale, e non contrattuale come preteso.
Motivo del ricorso in cassazione consisteva proprio nell’allegazione secondo cui il contratto stipulato dal paziente con la struttura sanitaria avrebbe prodotto effetti cc.dd. ‘protettivi’ nei confronti dei terzi, i quali avrebbero potuto agire sulla base del contratto nel caso in cui avessero subito ‘danni riflessi’.
La Cassazione respinge tale motivo considerandolo infondato.
La Suprema Corte, nella scia di un nutrito orientamento giurisprudenziale, riconduce la fattispecie all’art. 1372 c.c., comma 2: “Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”. La responsabilità contrattuale presenta infatti un determinato carattere di relazionalità: sia gli elementi costitutivi soggettivi (posizioni di debito e di credito) che gli elementi costitutivi oggettivi (interesse e prestazione) hanno connotazione relativa, per cui la prestazione debitoria deve configurarsi esclusivamente nei confronti dell’interesse creditorio, e non in relazione a terzi estranei alla relazione giuridica principale, a meno che questi non siano portatori di un interesse totalmente sovrapponibile a quello del creditore.
Tale ultima condizione può sussistere in caso di relazione contrattuale tra gestante e struttura sanitaria: nell’ambito del contratto di assistenza sanitaria, è solo tale fattispecie a vedere effetti prodotti anche in capo a terzi, poiché – come sostenuto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 19188 del 2020, richiamata dalla medesima Corte nella pronuncia in esame – l’interesse del padre alla nascita del figlio corrisponde esattamente all’interesse della madre nel medesimo senso.
Inoltre, l’attrice avrebbe al limite potuto muovere lamentela qualora avesse ereditato un credito derivante da inadempimento contrattuale già formatosi nella sfera giuridica del dante causa; tuttavia, nel caso di specie, la pretesa risarcitoria era stata sollevata iure proprio.
In conclusione, salvo lo specifico caso della gestazione, la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del coniuge del paziente, così come nei confronti di qualsiasi soggetto estraneo al rapporto contrattuale, è aquiliana, con tutte le conseguenze di tale qualificazione in termini di onere della prova.
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