La Corte di Cassazione, con sentenza n. 28369/2021, ha stabilito che la condotta illecita extralavorativa, ove siano presenti caratteri di gravità, giustifica il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore, infatti, oltre a fornire la prestazione richiesta, ha l’obbligo di evitare, al di fuori del contesto lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso.
Nel caso di specie la Corte di Appello di Napoli, a conferma della sentenza di primo grado, aveva respinto l’impugnazione del licenziamento per giusta causa di un lavoratore, condannato per traffico e detenzione di sostanze stupefacenti con sentenza non ancora passata in giudicato.
Queste le ragioni poste a fondamento della decisione della Corte napoletana.
Innanzitutto, la Corte territoriale ha evidenziato che il Tribunale, correttamente, aveva basato il suo convincimento sulle prove fornite dal datore di lavoro nella sola fase sommaria del rito Fornero (e non anche in quella di opposizione cui non aveva partecipato), atteso che l’attività istruttoria di entrambe le fasi di giudizio deve essere valutata unitariamente, prescindendo dalla divisione degli adempimenti richiesti per ciascuna fase. Inoltre, ha ritenuto condivisibile la posizione del Tribunale secondo cui non osta al licenziamento per giusta causa il fatto che la sentenza penale di condanna a carico del lavoratore non sia ancora passata in giudicato, come peraltro richiesto dall’art. 67, lett. c) n. 8 del CCNL di settore. A tal riguardo, la Corte distrettuale ha ribadito che il datore di lavoro ben può recedere dal rapporto in ipotesi di gravi condotte, stante l’antinomia esistente tra il rapporto contrattuale di lavoro e quello fra lo Stato e i cittadini cui è collegata la presunzione di non colpevolezza ai sensi dell’art. 27 Costituzione. Nel caso specifico, ha rimarcato che il lavoratore era stato condannato, sebbene non in via definitiva, per produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, il cui disvalore sociale era suscettibile di compromettere anche l’immagine aziendale oltre che palesarsi idoneo ad influire negativamente sui rapporti con gli altri dipendenti, giustificando una prognosi negativa sul rispetto dei doveri connessi con l’adempimento dell’obbligazione lavorativa.
Avverso tale provvedimento, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione cui ha resistito la società con controricorso.
La Corte di Cassazione ha confermato integralmente le argomentazioni della Corte territoriale.
In relazione al principio di presunzione di innocenza ex art. 27 Cost., ha osservato che tale caposaldo “attiene alle garanzie relative all’esercizio dell’azione penale” e non può trovare applicazione estensiva in sede civile con riguardo alla materia delle obbligazione e dei contratti.
In particolare, detta presunzione non impedisce al datore di lavoro di esercitare il recesso per giusta causa a seguito di comportamenti del lavoratore che possano integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di gravità tale da determinare l’impossibilità di proseguire, neppure in via provvisoria, il rapporto di lavoro senza che sia necessario, in tale evenienza, attendere la sentenza definitiva di condanna, restando privo di rilievo che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo in siffatta ipotesi.
La Corte di Cassazione, conformemente a quanto emerso in numerosi approdi giurisprudenziali, ha inoltre precisato che la giusta causa è clausola generale ed elastica che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite “la valorizzazione dei fattori esterni alla coscienza generale” e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di incongruenze
I giudici di legittimità hanno altresì puntualizzano che le ipotesi di giusta causa elencate nel CCNL sono esemplificative ma non esaustive e, pertanto, non escludono la sussistenza della giusta causa nei casi di grave inadempimento o grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, se idonei a far venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
È stato, infine, evidenziato che la valutazione degli elementi probatori acquisiti nelle fasi di merito del giudizio è stata correttamente esplicata alla stregua degli standard, conformi ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale. Nel caso specifico, si è dato atto che era stata adeguatamente valutata la circostanza che le quantità di sostanze stupefacenti interessate (circa 40 grammi di marjuana e circa 34 grammi di hashish) presupponevano che non fossero destinate (quantomeno esclusivamente) all’uso personale e, per giunta, denotavano un “inevitabile contatto con ambienti criminali”, tale da pregiudicare l’immagine aziendale (aggiudicataria di pubblici appalti), formata anche dalla moralità della condotta dei propri dipendenti.
La Corte di Cassazione, alla luce delle argomentazioni suesposte, ha respinto il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento irrogato.
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